di Giacomo Regallo e Mirko Caregnato
Come spesso accade, i progetti migliori nascono all’interno dei posti più impensabili, come uno scantinato pieno di polvere e sogni, o un box per auto adibito a laboratorio.
Questo racconto inizia proprio da uno di questi luoghi, un garage che però in comune a quelli sopra citati ha solo il nome. Per essere precisi, Le Garage, un locale dove poter bere birra e magiare dopo una giornata passata sugli sci nel comprensorio di Val-D’Isere e Tignes.
Da sempre sono convinto che le occasioni nella vita vadano prese al volo, anche quando meno te lo aspetti, ed è proprio per questo motivo che questa stagione invernale mi sono trovato a passare diverse settimane a lavorare in uno dei comprensori sciistici più famosi delle alpi.
Qui, all’interno di un scuola sci, ho conosciuto quattro nuovi amici, maestri di sci e snowboard che proprio davanti ad una birra del Garage, mi hanno fatto la proposta di andare insieme a loro a sciare sulle Lyngen Alps, celebre meta sci-alpinistica nel nord della Norvegia il cui comune principale è Tromsø.
Per me non è la prima volta che visito le terre del nord, già l’anno passato come anche a metà marzo di quest’anno sono stato nella zona di Narvik/Lofoten insieme ad un amico e collega Guida Alpina per portare dei clienti a sciare.
Alle Lyngen Alps invece non sono mai stato e la voglia di vedere un posto nuovo era tanto forte quanto quella di prendermi una piccola vacanza dopo la stagione invernale, poi in ogni caso sarebbe stato un ottimo investimento per andare a conoscere una area in cui organizzare futuri viaggi lavorativi.
La richiesta non è rimasta dunque a lungo in attesa di una risposta, va bene sono dei vostri!
All’alba del 13 aprile siamo dunque pronti a partire. Io e Mirko, altro protagonista della storia che andrò a raccontare, partiamo da Linate.
Incontreremo Rachele, Alice e Marco la sera stessa una volta arrivati a Tromsø, visto che reduci dalla stagione lavorativa in Francia partiranno da Ginevra.
La mattina successiva le pelli sono già incollate sulla soletta dei nostri, sci gli zaini sono carichi di attrezzatura e tanta voglia di assaggiare la neve norvegese.
Il primo regalo inaspettato della nostra permanenza nordica si palesa a noi dopo aver cambiato rotta verso una cima secondaria, il Sultinden, a causa delle condizioni della neve sulla nostra salita primaria al Sofiatinden.
Dopo una rapida occhiata al GPS per capire se il canale avesse un’uscita, giriamo la punta degli sci e della tavola verso il basso portando a casa una bella discesa in quello che scopriremo poi essere chiamato Batman couloir, una stretta lingua di neve di 600 metri che ci porta praticamente nella spiaggia in cui abbiamo parcheggiato al mattino. Arrivati sulla strada ci guardiamo e sorridiamo, buona la prima.
I successivi tre giorni passano incredibilmente bene nonostante un altro paio di giornate di meteo incerto, che però ha la bontà di regalarci qualche centimetro di neve fresca. Saliamo e sciamo in successione Steinfjellet, Kvalvifjellet e Jægervasstindan.
Nell’infinito crepuscolo del quarto giorno tra un fiskekaker e una isbjørn ghiacciata, sfogliando la guida, nel capitolo successivo a quello dedicato alla Lyngen Alps, mi salta all’occhio una cima al quanto intrigante, lo Store Russetinden.
1440 metri di montagna che si erge dal fondo del Balsfjorden. La salita si svolge sul suo versante Nord/Nord-ovest che dovrebbe aver ricevuto un po’ della nuova neve portata dal vento caduta nei giorni precedenti. Una variante di discesa sul suo versante est, un viaggio di 1000 metri verso l’ombrosa valle sottostante, ho visto che c’è, ma l’aurora fuori dalla finestra mi ricorda che è ora di andare a dormire.
L’indomani partiamo senza troppa fretta verso la nostra meta. L’esposizione a nord della salita parte impegnativa su una neve ghiacciata che mette a dura prova l’affilatura delle nostre lamine.
La fatica della prima parte lascia poi spazio ad un ampio vallone solivo pieno di neve fredda e polverosa, percorriamo quindi i rimanenti metri battendo traccia fino all’uscita in vetta.
Toccato il cairn posto in cima, il pensiero della parete est si riaccende nella mia testa. Guardo Mirko e senza scambiarci una parola cominciamo a cercare il posto migliore per dare un occhio alla parete.
Dopo aver lavorato una ventina di minuti per pulire una piccola cornice di neve, ecco la visione. Davanti noi si palesano mille metri di neve vergine che, sfidando la legge di gravità, rimane aggrappata a quel pendio costantemente inclinato a 55°/58°.
Gli sguardi silenziosi lasciano spazio ad un lungo ragionamento sulla fattibilità della discesa e gestione del rischio che avremmo dovuto affrontare una volta superato il varco creato nella cornice.
Ci confrontiamo con i nostri soci che sono pronti a sciare uno splendido pendio a fianco della linea di salita. Loro scenderanno da lì, mentre noi decidiamo di tuffarci in quell’oceano di neve e ombra, l’appuntamento è 1300 metri più in basso alla macchina.
Parte Mirko, dopo due curve ben calibrate il suo snowboard sembra trasformarsi in una tavola da surf che cavalca immense onde immobili di neve. Quasi non produce alcun suono, raggiunge un posto riparato e parto anche io. La sensazione è esattamente come me la ero immaginata un attimo prima, ogni suono su quell’immensa parete è ovattato dalla dama bianca che lo ricopre.
Raggiunto il mio socio ci scambiamo un’occhiata e non possiamo fare altro che sorridere. La neve è perfetta, proprio come avevamo sognato potesse essere. Avevamo lasciato il nostro porto sicuro ed ora eravamo dentro a quel mare verticale. Un’altra dimensione dove regna un pesante silenzio. Ora dovevamo solo attraversarlo. La pendenza sotto le nostre assi ci mette quasi le vertigini e cominciamo a realizzare davvero quale avventura stiamo vivendo.
Dopo un rapido confronto sulla linea da seguire riparto io e Mirko mi segue una volta che ho raggiunto una posizione sicura in caso di eventuali scariche.
Procediamo in questa maniera, alternandoci, per circa 600/700 metri. Ogni sessione di curve fa scendere delle grosse cascate di neve polverosa che, saltando le barre rocciose sottostanti, spariscono nell’oblio di quella severa faccia est.
L’esposizione è importante e si fa sentire ad ogni cambio di spigolo. Rimaniamo focalizzati e concateniamo curve pulite e precise fino ad arrivare ad uno stretto imbuto delimitato da una parte da rocce strapiombati e dall’altra da una cascata di ghiaccio.
Dopo una rapida perlustrazione capiamo che da li non si passa, l’imbuto termina nel vuoto. Durante l’analisi del pendio avevamo notato questo passaggio e ipotizzato la soluzione, infatti, sulla sinistra, una piccola dorsale di neve sembra delimitare un canale che corre lungo la scura parete soprastante.
Il passaggio dev’essere lì per forza, dobbiamo solo superare l’ostacolo. Rimaniamo concentrati, con movimenti estremamente calibrati ,togliamo gli sci e prendiamo in mano la piccozza. Con una breve, ma intensa attraversata arriviamo nello stretto canale che ci guiderà verso la fine di questa avventura.
Arrivati a questo punto ci sembra di aver già sciato per migliaia di metri, nella nostra testa il grosso era fatto. Il canale però, non la pensava allo stesso modo. Davanti a noi altri 300 metri di ghiaccio vivo, non ripidissimo, ma dalla conformazione “arrogante”, non ci lasciavano alcun margine di errore. Vietato cadere altrimenti avremmo raggiunto la base della parete nel maniera meno elegante possibile, ovvero a rotoli sul “cemento”. Le vibrazioni delle lamine sul ghiaccio ci fanno tremare gli organi interni, serriamo i denti (e la piccozza) non molliamo, l’uscita è vicina.
Dopo questa ultima manciata di metri spacca-ginocchia siamo alla base della parete. Sopra di noi i mille metri della parete est. Era fatta. Le nostre tracce viste da lontano appena sotto la cima apparivano minuscole firme effimere che siglavano il nostro fantastico viaggio al Nord. Rimaniamo increduli, davvero avevamo appena sciato questa enorme parete? Ci guardiamo e all’unisono esclamiamo “fa ancora più paura vista da sotto!”
Brevemente sulla traccia per motoslitta di fondovalle, arriviamo alla macchina dai nostri amici a scaldarci al sole della primavera artica.
Il sole ora non splende solo fuori, ma anche dentro.
Protagonisti del racconto: Mirko Caregnato, Rachele Fanoni, Alice Carletti e Marco Cirillo.
Perdonate le foto di scarsa qualità, ma la voglia di sciare e vivere il momento non ci ha permesso di documentare al meglio la discesa!