Luca Schiera racconta la sua esperienza patagonica degli scorsi mesi, segnata purtroppo da condizioni meteo spesso proibitive che, come spesso accade fra le montagne all’estremo sud del continente americano, hanno deciso la sorte dei progetti con cui era partito dall’Italia in compagnia di Roger Schaeli
di Luca SchieraDopo l’esperienza dello scorso anno io e Paolino avevamo già deciso che ci saremmo presi una pausa dallo Hielo Norte. Tornato dopo un mese e mezzo senza avere praticamente mai arrampicato ero in uno stato di forma scandaloso e avevo passato diversi lunghi mesi a cercare di riprendermi. Due settimane chiusi in tenda, quattro giorni passati a muoverci senza soste e poi altri giorni a spostare zaini pesanti mi avevano lasciato qualche segno nel fisico, poi un paio di infortuni appena rientrato a casa mi avevano dato il colpo di grazia per quella stagione.
Di conseguenza anche la motivazione era calata, quindi avevamo deciso che quest’anno avremmo pensato a qualche altro obiettivo e intanto avremmo aspettato che salisse di nuovo la curiosità che avevamo all’inizio di questo progetto e che forse nel frattempo si era un po’ affievolita.
Un’altra idea in realtà ce l’avevo, ma non avevo mai trovato il socio giusto.
Sognando la traversata completa del gruppo del Fitz
Nel corso del 2022, arriva finalmente l’occasione che aspettavo… Roger Schaeli mi propone, infatti, di andare insieme a Chaltén per provare a fare la traversata di tutte le cime del gruppo del Fitz Roy, uno dei suoi sogni della vita.
Mi contagia con il suo entusiasmo e mi sembra anche una buona occasione per cambiare un po’, quindi perché no?
Si tratta della traversata in “cresta” di tutte le cime del gruppo del Fitz, affrontabile o da sud o da nord, ma in ogni caso interamente su roccia. Sulla carta tutto fattibile ma nella pratica: chilometri di sali e scendi su creste, torri e soprattutto pareti con cui difficilmente possiamo fare paragoni con le montagne di casa. Fra queste cime spicca Fitz Roy stesso, che è del tutto fuori scala anche in mezzo a vette già di per sé discretamente grandi.
Oltre al tempo, ovviamente, ci sono da gestire una quantità di cose che normalmente non si considerano, ma che alla fine fanno la differenza: i pesi e il materiale da portare, l’usura delle corde e della pelle delle mani, riuscire a scalare il più possibile in scarpe da avvicinamento e non in scarpette, trovare i posti da bivacco e trovare la via e le calate attraverso i molti pinnacoli, unitamente al fatto che le difficoltà sono sempre molto maggiori di quanto sembra leggendo sulle relazioni.
Tutte belle idee ma, poi la realtà dei fatti è stata che il tempo, che certo ci aspettavamo brutto, è stato anche peggio del previsto!
Un assaggio della Mermoz
Ovviamente abbiamo bisogno di diversi giorni di meteo stabile per realizzare il nostro progetto, non meno di quattro anche solo per provare. Dopo i pessimi mesi di novembre e dicembre, guardando le previsioni da casa, un paio di buone finestre a inizio gennaio ci fanno sperare in un miglioramento generale, ma quella era solo una tregua temporanea dal malo tiempo.
Appena arrivati decidiamo di sfruttare due giorni per portare il materiale al Paso Superior (base di partenza per le pareti est del gruppo del Fitz) e provare una linea in libera sulla parete est della bellissima Aguja Mermoz.
Troviamo neve e verglass nelle fessure, quindi saliamo molto lentamente e dubbiosi. Nel tardo pomeriggio scaviamo una piccola piazzola nel ghiaccio su una cengia e bivacchiamo lì.
La mattina dopo il tempo è ancora discretamente bello e iniziamo a salire lungo la parte alta della parete, seguendo delle fessure perfette di ogni misura, poi decidiamo di spendere la seconda parte della giornata per cercare una linea diretta da scalare, come avremmo fatto se fossimo sulle pareti dietro casa e, calandoci dal Pilar Rojo, cerchiamo di capire se può avere senso provare la prossima volta. Scesi sul ghiacciaio capiamo che abbiamo un buon piano alternativo in caso di due soli giorni di bel tempo, quindi nascondiamo in un riparo tutto il materiale in attesa di una finestra con migliori condizioni in parete per arrampicare in libera.
Motocross traverse
Riposiamo qualche giorno, saliamo una via facile sulla Aguja de l’S in una mezza giornata di tempo discreto (peggiore rapporto avvicinamento-arrampicata di sempre: 12 ore a piedi, due su roccia), poi, dopo diversi altri giorni di brutto tempo, torna bello. Non ho mai visto queste montagne in inverno ma credo che il panorama sia abbastanza simile a quello che ci troviamo di fronte: è tutto bianco!
I dubbi aumentano, ma il fatto che quasi tutto il materiale lo abbiamo lasciato depositato ci aiuta nella scelta della direzione da prendere.
Quindi torniamo al Paso Superior e da lì vediamo cosa è meglio fare.
Decidiamo di affrontare la traversata Guillaumet-Mermoz chiamata “Motocross traverse”, in pratica il riscaldamento per la traversata del Fitz.
Iniziamo presto su una via di misto che con l’arrivo del sole si scioglie letteralmente sotto i nostri ramponi. Dalla cima principale della Guillaumet proseguiamo in cresta verso la cima sud e poi puntiamo alla Mermoz con una serie di calate.
Nelle parti in ombra c’è ancora molta neve dentro alle fessure, scaliamo sempre in scarponi fino a quando il terreno diventa molto più ripido, per poi darci il cambio e proseguire in scarpette. Continuiamo sempre in conserva con bella arrampicata lungo la via Argentina e, nel pomeriggio, arriviamo in cima.
La nostra stagione si chiude qua purtroppo. Roger saggiamente torna a casa in Svizzera, mentre io mi fermo ancora qualche giorno ad arrampicare sui blocchi intorno al paese con la falsa speranza di un’altra finestra di bel tempo che purtroppo non arriverà mai.