di Marco Zanchetta
Estate 2024:
“Ciao Teo (Matteo Colico ndr), andiamo in Adamello?”
“Ok!”
“Anzi no… giovedì danno temporali… mangiamo un po’ di granito del Furka?
“Super!”
Apro la guida “Arrampicare in Svizzera”, giro la pagina con la foto di una luccicante placca che pare nascere dal lago sottostante, e i miei occhi corrono per l’ennesima volta sul racconto “Sono stato a scuola dai Remy”.
La chiudo e la butto tra i quattro vestiti che saranno il mio armadio dei prossimi giorni.
Si parte, 34°C fuori, finestrini abbassati e navigatore impostato: “2.45 hours left”.
Pausa caffè, tra i peggiori della mia vita, tappa spesa di sopravvivenza e si riparte verso il confine elvetico. Il furgone blu sfreccia con il nuovo bollino verde 2024 appiccicato sul vetro, non eccedo di 1km/h, siamo nella terra di Heide ma, anche, dei velox. Passiamo Lugano, Bellinzona, su al Gottardo, discesa e di nuovo su, verso il Furkapass.
Non resistiamo al fascino di comprare yogurt e formaggio ad un baracchino self service, sbarazzandoci di ogni franco e di altre monete varie in nostro possesso.

“Fermarsi – Rischio rottura motore” con tanto di spie e suoni molesti. Giro la chiave e avvicino la testa all’asfalto rovente: il motore piange lacrime di acqua e antigelo. Consolarlo non basta e, dunque, provo a rattoppare il maledetto tubo con fascette e tape per le dita, immancabile nell’arsenale di ogni tiratacche.

Di scalare per oggi non se ne parla e, allora, visitiamo il museo della diga del Grimsel; una gigantesca opera di tondini e cemento che solo in Svizzera può esistere. Un’addetta al museo ci spiega che, visto il cantiere in corso, dovremo fare un altro sentiero. Rabboccata l’acqua del radiatore, ripartiamo verso il parcheggio dove solo l’apertura di una birra può farmi riprende dalla giornata movimentata.
Appena prima della sveglia un suono famigliare stuzzica le mie orecchie. Spero sia un sogno, invece, appena il portellone scorre cigolando, arriva la bella conferma: piove. Siamo nelle nuvole e fa freddo. Un tazzone di caffè ci scalda il cuore e dà coraggio. Parte la classica gara di skyrunning con Teo; lo conosco, stringo i denti solo perchè so che dopo 45min la tortura finirà. Dopo la galleria il cielo si apre miracolosamente, il passo torna umano e, dopo mille su e giù costeggiando il lago, appare l’attesa lavagna di granito.

Siamo pronti all’interrogazione, speriamo solo di non stridere come i bianchi gessetti trascinati malamente. Il secondo tiro di Motorhead ci dà il benvenuto con una simpatica placchetta dall’allegra chiodatura, è solo l’appello di una lezione alla scuola dei Remy. “Avete fatto i compiti?” Forse no… visto che il 6A successivo, un diedro perfetto, mi impegna più del previsto. Dò la colpa al bagnato e alle dita fredde. Invece ogni tiro che segue è tanto bello quanto ingaggioso, soprattutto rapportato al grado segnato sulla carta. Scalo pensando ai fratelli Yves e Claude Remy lanciati su questi 500m con il piantaspit a mano, nel 1981. Per fortuna negli anni sono comparsi alcuni fix in più in parete e dei friends scintillanti ed affidabili al nostro imbrago.
Assi!

Corro tra diedri, fessure e placche bellissime per guadagnare la “non cima” di questo panettone svizzero. Una ripida pietraia, gande fangose e l’eterno saliscendi sotto il sole del pomeriggio ci riportano assetati al furgone. Una birra per noi, un po’ di acqua nel suo radiatore gocciolante, e si riparte, ma non prima che Teo torni sui suoi ultimi passi, alla vana ricerca di una maglietta regalatagli il giorno prima e caduta dallo zaino chissà dove…
Il profumo di patatine fritto all’hostel del passo è troppo allettante ma tiriamo dritti fino al nostro “campeggio”.
“Top Gun: Maverik” ci sembra la scelta giusta per il cineforum e per aspettare un orario decente per la nanna.
Nessuna sorpresa questa mattina, l’alba è stupenda ed appagante quanto la colazione a caffè e pane e nutella. “Sai, quando eravamo piccoli, al campo estivo, facevamo colazione con: pane, burro, nutella e zucchero”
Cammino tra i pascoli ridacchiando tra me e me: “l’erba del vicino è sempre più verde”, la Svizzera ne è la conferma.

Quanto amo la neve dura e portante, quella che ti risparmia le ginocchia e, come oggi, in pochi minuti ti deposita alla base della via. Sullo schermo leggo “5A”, guardo in su e storco il naso, ingrandisco l’immagine: “5A”, mi rassegno e parto… Arrivo già stanco alla comoda sosta, appeso come una slinzega, e penso: “5A, ma veramente?” Dò la colpa ai quasi 3000m e al pesto della sera prima… Ma quanto erano forti i Remy? Passeggiavano qui già nel 1988!
Il silenzio, il sole sulla schiena, la roccia perfetta e la scalata entuasiasmante mi gasano sempre di più. Rubo avido i friends dall’altro imbrago, mentre ascolto attentamente: “la lunghezza di 7A (che se salita con tecnica di incastro risulta sovraquotata) è fantastica: un bel tirone di 40 metri su una fessura perfetta, inutilmente spittata”

In cuor mio spero che abbia ragione il buon Matteo DB, perché sono già stanchino, disidratato per il sole e, ai miei occhi, la via sembra un vero calcio!
Parto agguerrito, sbuffo, impreco dove diventa di pugno largo, bramo ogni “inutile” spit e lotto con una difficoltà sempre crescente. Mi sembra la missione impossibile di Tom Cruise vista sul grande schermo da 3,7 pollici la sera prima. Sudato, sanguinante e con il cervello in palla, tiro l’ultima dulfer disperata guadagnando un bel riposo. Respiro dieci secondi, giusto per avere il fiato di dire: “ora sbocco”. Non succede, per fortuna mi riporto sotto 150bpm e abbasso la mia temperatura a 37°C, al contrario del furgo il mio radiatore funziona ancora. Scalo gli ultimi metri più facili e mi appendo in sosta, esausto, ma davvero al settimo cielo. Sì, è “solo 7A”, credo di averne fatti centinaia a-vista, ma questo mi ha riempito di gioia più di tanti altri.
Ma quanto ca**o erano forti i Remy!
Sopra la testa un bel tiro lungo, verticale e fisico: 6A sulla guida. Ormai non ci casco più e, infatti, mi tocca comunque scalarlo con il coltello tra i denti.

Selfie di vetta, anche se in effetti siamo solo su una cresta insignificante, e giù in doppia. Sciata sulla neve, ora più molle, e corsa verso la lattina di radler, fortunatamente ancora fresca! Sfoglio la guida alla ricerca di “Conquest”, la via che oggi ci ha dato un’altra lezione di umiltà. Concordiamo sulle 4 stelle date per la bellezza, ma riscriviamo a matita i gradi secondo la nostra visione. Un mix di felicità per la salita e dubbi sul mio stato di forma dopo mesi intensi di lavoro mi frulla nella testa e nella pancia. Forse riempendo lo stomaco mi tranquillizzerò.
Lotto per tenere gli occhi aperti sul film della serata: “Rush”, bellissimo, anche se credo di essermi appisolato tra qualche sorpasso e qualche cambio gomme…
La mattina seguente ispirato da Niki Lauda mi metto al volante, giro la chiave e… nessun rombo da Formula1. La batteria è morta ma, miracolo dal cielo, al nostro fianco qualcuno è già sveglio alle 6.30. Il fatto più incredibile è che si tratti di un boulderista! Da quando si alzano così presto?!
Due sgasate, quattro scintille, e siamo in marcia.
Parcheggio con lo stemma Renault verso la discesa, portandomi avanti per un’eventuale partenza a spinta. Manovra preventiva rovinata da un simpatico svizzero che mi fa spostare per far parcheggiare più macchine. Ha ragione, inutile spiegare il mio problema. Impreco, obbedisco e prego che le sfortune siano finite.
Ormai ci sentiamo amici dei Remy e la loro via “Le Test”, del 1994, sembra fare al caso nostro.
Sbaglio l’attacco. Ebbene sì, anche gli Aspiranti Guide non sono a prova di errore. Impreco di nuovo mentre disarrampico sui ciuffetti d’erba bagnata fino alla base.
Mi rilego alla corda blu e a quella rossa, mentre Teo legge: “La fessura iniziale, molto bella e difficile, si può azzerare”
Concordo su tutto, tanto che metto un piede su una delle celebri piastrine oblique, marchio di fabbrica dei due fratelli, e passo la fessura. L’etica per oggi la lascio a casa. Tiro il fiato, fiducioso che la sezione di 7A sia finita, e riparto tra placche e fessure, ma qualcosa non va. Il tiro mi prende prima a sberle, poi a calci, e di nuovo a sberle, fino alla sosta.
“7A!? Facilmente azzerabile!? Teo vuoi salire?”
“Anche no…”

Una bella doppia e via, verso la vicina “Sacremotion”, un capolavoro dei Remy che avevo già salito e, quindi, mi dava delle certezze su gradi ed impegno. Quanto mi tenevo otto anni fa!? O, meglio, quanto non sono in forma oggi?!
Nessuna lattina in frigo, solo acqua fresca per noi e per il radiatore.
Al passo del Gottardo ci concediamo l’unico lusso di questi giorni: una classica Calanda da 33cl con tanto di Bratwust e panino al formaggio; la giusta carica per sfrecciare verso casa. Non poteva mancare un bel controllo in dogana che, fortunatamente, passiamo indenni.
Sulla terrazza di Santa Cruz le gialle bollicine reintegrano il sudore perso per il caldo e la tensione di viaggiare sul malaticcio “Amico Blu. Il più noleggiato dagli italiani”.
E’ mattina, il Renault Trafic è sul ponte dell’officina, arrivano delle notifiche Whatsapp. Mentre lo operano scorro le foto di questa “gita”. Sì, questo è stato, non un’impresa, non una spedizione, qualche giorno a scalare con un amico in montagna.
Perchè scrivere queste futili righe allora?
Forse per dire che non sempre tutto va bene e ci si merita una prima pagina ma ciò che conta è crederci e amare quello che si fa.
Forse perché sono convinto che l’importante sia vivere le avventure così come arrivano, senza pensare alla fama di una salita, gustandone ogni momento come un boccone di pane e nutella…