Era chiaro, così non si poteva andare avanti. Mi avevano detto che per le vie era importante avere il fiuto per la logica, sapersi muovere in ambienti isolati, etc etc, ma per la verità niente di tutto ciò mi stava dando problemi. Le scorribande in dolomiti insieme a S. Raffin, le vie in Piemonte, quelle in val di Mello, alcune sulle Grigne, non mi avevano mai dato problemi sul “cercare la via”. Alla fine, dove c’erano i chiodi ce n’erano sempre parecchi, e bastava seguirli o usarli quando eri un po’ stanco (…), quando c’erano gli spit li vedevo luccicanti e smaglianti e insomma enormemente di migliore aspetto rispetto a quelli delle grotte, le scarpe mithos rispetto agli stivali erano una sciccheria, e il quarto e anche quinto grado non avevano le tracce di fango o di bagnato che si trovavano nelle grotte.
E allora, dove era il problema?
Quando le cose diventavano dritte, ecco dove stava il problema. O addirittura all’in giù. Che avevo letto trattasi di strapiombo. Parola la cui genesi mi era ignota, ma di sicuro il piombo c’entrava, visto come mi sentivo dopo pochi secondi di lotta senza speranza.
Decisi che dovevo dare una spinta alla questione. Da qualche parte avevo letto delle trazioni di Berhault e di Yaniro, così ogni mattina, prima della colazione, facevo cinque minuti di trazioni. Alla morte. Dopo due mesi, arrivai alla serie 8-10-12-15-17, con intervallo di un minuto. Mi ero allargato piuttosto vistosamente, ma i bicipiti scoppiavano e niente, mi dissi, mi avrebbe più fermato.
Dove testare questa forza sovrumana? Investii quello che dovevo spendere nella prima guida di arrampicata, che snocciolava le falesie di Lecco e Como. Reclutai tal Zappa, uno dei soppravvissuti alla grotta di Su Palu ( e a un paio di uscite canyon che se ci ripenso…avevamo inventato il body rafting. Con la muta, ci lasciavamo andare nei torrenti, che tanto prima o poi ci si fermava, Senza relazione, ovvio, Dopo qualche contusione pesante, la troncammo lì.), e andammo a Scarenna.
A Scarenna era la seconda volta che ci andavo, la prima proprio poco prima della strategia trazioni. Due tizi mi avevano arganato per oltre un’ra, ovviamente da secondo, su tal Ulisse Panciuto, un V terrificante, da dove ne ero uscito praticamente vomitando. Se lo ricordano ancora sicuramente,
Ora, si trattava però di andare da primo. Consegnai l’otto a Zappa e gli dissi, se mi vedi in difficoltà, blocca così e così, altrimenti dammi corda. Lui disse va bene, e io partii.
Arrivato al secondo spit ( via su IV, a sinistra degli strapiombi ), intuii l’arrivo delle vere difficoltà, e dissi “occhio”. Dopodichè mi mossi azzannando con le bracce delle presi enormi, e inziai a sfoderare tutta la mia nuova forza.
Era una lotta titanica, io contro quelle due prese enormi, due vere buche da lettere. Trazionavo come un dannato, ce la stavo mettendo tutta.
Dopo dieci minuti, sudato e sfinito, ero però ancora lì. Non mi ero alzato neppure di mezzo metri da quello stramaledetto spit, lo sconforto mi arrivava alla cintola. Sentii a stento un brusio alle spalle, il sudore colava copioso nelle orecchie. Fra parentesi puzzavo come un caprone. Comunque alla fine, tanto altro non c’era da fare, mi voltai.
Gente si era avvicinata al fido Zappa, e gli stava parlando. Zappa aveva entrambi i piedi puntati a terra, tanto che oramai al suolo c’erano due buche. Aveva anch’egli una faccia sfinita, sembrava reduce da una guerra. Di tiro alla fune, tanto per fare un esempio.
Quelli gli spiegaroro che doveva un po’ mollare la corda quando io io tentavo di salire…
Ma mi ha detto di bloccarlo, se la rise Zappa, noto fin dai tempi del Liceo per capire al volo le cose.
Capii anch’io, un po’ dopo Zappa. Era stato proprio un cimento di tiro alla fune.
Risolto l’equivoco, dopo cinque minuti, esausto, arrivai alla catena. Ero così stanco che l’arpionai, poi dissi a Zappa di calarmi.
Calare cosa?
Già, non glielo avevo spiegato.
Aiutato da benevoli occasionali presenti, ritoccai il suolo, e lasciammo Scarenna sotto lo sguardo di parecchie, troppe persone. Suppongo ne abbiano parlato per anni. Ora che sono un po’ conosciuto, e che magari qualcuno di quelli sarà pure lettore, ebbene, ero io.
E che ca…qui dovevo dare una seconda svolta, mi dissi. Non avevo mai fatto una tale figura in vita mia, dovevo approcciare professionalmente la cosa. Trovare dei fedeli compagni di arrampicata, un po’ esperti. E certo non potevo reclutarli fra i giocatori che allenavo a calcio a 5, o fra i colleghi di lavoro ( in realtà ci provai su entrambi i terreni…). Insomma, non sapevo ancora neppure scrivere bene, in arrampicata. Ero un biginner, non un beginner. Ero al di sotto del principiante
Consultai la guida, e vidi che Civate era una falesia frequentata. Così, il sabato dopo, arrivai in quel di Civate, constatando con sollievo che non c’erano testimoni del week end precedente. C’era un tizio muscolato e chiaramente arrampicatore che stava togliendo la roba dallo zaino. Gli dissi, sono solo, ti va di scalare insieme?
Aveva un’apertura di braccia il triplo della mia, come constatai qualche mese dopo, ad un pannello che ci comprammo insieme. Mi venne da chiamarlo Gipeto. Si è appena sposato, e penso che si sia firmato Andrea Robbioni Gipeto. Ragazzi, quello che abbiamo vissuto insieme io e il Gipeto…beh, prossima puntata