Avevo ripetuto Rupe Tarpea nel 1993, quando la gradazione “ufficiale” del concatenamento delle due lunghezze era considerata 7a/b. Allora risolsi il breve ma intenso passo chiave uscendo in placca, a sinistra dell’asse della chiodatura. Oggi è stato fantastico, tornare in questi giorni d’estate, sulla stessa roccia, a distanza di anni e superarla centralmente con bellissimi movimenti tra cui un estetico e fruttuoso tallonaggio.
La prima lunghezza della Rupe, insieme a Bo Derek, Astro Boy, Quo Vadis e Un Coin fu tra le prime vie moderne attrezzate al Nibbio nei primi anni ’80 da quel vulcano di Marco Ballerini, che per nulla intimorito dall’imbarazzo del “volo” le battezzò per primo anche in arrampicata libera. Arrampicata libera che, nonostante il repentino incremento delle difficoltà superate e del numero di nuove vie chiodate, poco si confrontava con le falesie delle regioni vicine e complice la ristrettezza del numero di “outsider” si andava incontro a svarioni eclatanti riguardo la gradazione: valutazioni disomogenee e molto soggettive sparate in base alle proprie capacità tecniche e allo stato di forma (leggi allenamento) più che al confronto con altri tiri e altri arrampicatori. Tant’è che oggi, lo stesso tiro è considerato (più o meno) 7c. Molti intelligenti sforzi furono fatti per adeguarsi ai tempi, infatti nella prima guida d’arrampicata moderna del Lecchese, nel 1985 (le arrampicate scelte, di Valerio Casari e Lele Dinoia, per Melograno) già si valuta comparando (per averle ripetute in prima persona e non per sentito dire) con le più celebri e impegnative, di allora, lunghezze di corda del Verdon.
Ma torniamo ad oggi, con il nostro “Corno”, una delle storiche palestre d’arrampicata del lecchese e la falesia per eccellenza dei mesi caldi, grazie all’esposizione settentrionale, completamente fradicia per intere settimane e buchi che sgusciano dalle mani senza neanche accorgersi, per il bagnato improvviso. Complice un “estate” anomala con temporali e doccia giornaliera, l’unico settore quasi sempre arrampicabile è stato proprio quello che partendo dalla linea leggermente aggettante della Mc Kinley risale verso sinistra: placche verticali di calcare grigio aderente, scolpite dal geometrico diedro della Boga e alla sua sinistra dalla frequentatissima placca di Alù (dal nome nepalese di una tipica ricetta a base di patate). La seconda lunghezza di Rupe Tarpea si concatena proprio con la prima parte di Alù, oppure a destra con lo Spigolo Giulia (un pò più intenso) o ancora, a sinistra, con la recente e dal nome che è per tutti un augurio e una speranza: Un uomo nuovo.
Il Nibbio è stata la prima falesia scelta per pilotare il “Progetto di valorizzazione delle falesie lecchesi” curato dalla Comunità Montana Lario Orientale e Valle San Martino. Sarà quindi, a partire dall’ autunno 2014, opera di un completo lavoro di riattrezzatura della parete con materiale inox, con la sola sostituzione e ottimizzazione del posizionamento degli ancoraggi attualmente esistenti. Per l’estate a venire quindi un “Klettergarten” (giardino d’arrampicata, come dicono i tedeschi) nuovo e a disposizione di tutti, da trattare con la massima cura e pulizia, per, come scrivevo su una rivista (Punto Rosso) sempre venti anni fa, “riempirsi le mani di bianco”.