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Retrospettiva di una spedizione boulder

di Simone Tentori

Intro
A gennaio 2024 ho trascorso quattro settimane a Red Rocks, un parco nazionale al di fuori di Las Vegas dove avevo l’obiettivo di cimentarmi su alcuni dei blocchi più estetici e difficili al mondo. Purtroppo, non è andato tutto liscio come pianificato, quindi, inevitabilmente sono tornato a casa a mani vuote. Una storia all’apparenza poco piacevole e con un malaugurato lieto fine, ma vorrei scavare a fondo e analizzare ciò che è veramente successo.
 
Con questo racconto mi piacerebbe portarvi nei retroscena di ciò che comporta arrampicare su roccia ai massimi livelli. Sono infatti convinto che tutt’oggi ci sia una percezione distorta riguardo al vero processo che porta alla salita di una via o un blocco estremo. I social, le testate giornalistiche, YouTube, ecc. propongono o, meglio, ci bombardano, di notizie e scoop legate al successo. Sembra che tutti stampino (chiudere una via/blocco) ogni giorno, gradi sempre più difficili, da ogni parte del mondo. La realtà è ben diversa. Per realizzare una salita *redpoint* ben oltre il proprio grado comfort, è necessario investire tantissime energie e tempo. Se avviene in fretta significa semplicemente che abbiamo appena sfiorato le nostre potenzialità e con un diverso approccio sarà sicuramente possibile realizzare qualcosa di molto più grande.
Per poter scoprire le proprie potenzialità fisiche e mentali è necessario uscire dalla propria *comfort zone* e mettersi in gioco su un qualcosa di veramente al limite. Probabilmente significherà essere pronti a passare intere sessioni a provare singoli movimenti e a dedicare molteplici giornate sullo stesso pezzo di roccia. Può sembrare assurdo ma è proprio così che i più grandi nomi del nostro sport hanno fatto la storia salendo vie di nuova difficoltà segnando delle pietre miliari che rappresentano ora dei riferimenti a livello mondiale. La prima salita di un nuovo grado come 9c o 9A blocco sono il frutto di un processo di forza mentale ferrea, perseveranza, innumerevoli giornate distribuite su più stagioni, solo per citarne alcune.
Spesso ci dimentichiamo di quanto una via o un blocco difficile richiede ed esige prima di lasciarsi salire, come un pagamento di un pedaggio lungo una lunga autostrada. Spesso non ci sentiamo pronti o ci spaventiamo solo all’idea di “perdere” così tante giornate di scalata sotto lo stesso pezzo di roccia. Per anni questa preoccupazione era presente nella mia testa, ma ora qualcosa si sta muovendo verso nuovi obiettivi.
 
Background personale
Ultimamente, dopo oltre 15 anni di scalata di cui 10 dedicati al boulder outdoor, ho deciso di cambiare approccio. Nei primi anni ero sempre affamato di mettermi tra i denti nuovi passaggi ed ero impaziente di cercare di salire quanti più blocchi possibile. Questo mi ha portato a salire oltre 330 boulder sopra l’8A, permettendomi di fare esperienza su diversi tipi di roccia e aumentare il mio bagaglio motorio sul gesto tecnico. Solo negli ultimi tre anni ho iniziato a mettermi in gioco su gradi più difficili e ad iniziare a giocare e lottare con il processo. Ho capito immediatamente che le cose da imparare per gestire un progetto sono moltissime e che la testa in questi casi inizia a prevalere sulle capacità fisiche. Ripercorrendo a memoria alcuni dei boulder a cui ho dedicato più giornate ed energie mi vengono in mente Megalodonte, il mio primo 8C (FA in Val Masino) e primo reale progetto da 10+ giornate e poi Solitary Daze e From Dirt Grows the Flowers, entrambi 8C in terra elvetica. Le sensazioni che affiorano sono sicuramente di difficoltà, di dubbio, di mettere in discussione le proprie capacità, ma in fondo, terminano tutte con una scintilla di speranza perché dentro di me sapevo che un giorno il “giro buono” sarebbe arrivato. Ora sono grato di aver “sprecato” tutte queste giornate sotto allo stesso sasso. La ricerca dei dettagli, l’analisi minuziosa dei particolari della roccia, la percezione delle posizioni del corpo e tutte le altre componenti che caratterizzano il processo di lavorare un progetto mi hanno insegnato moltissimo. Mi hanno fatto crescere come scalatore, al pari, o forse più, degli innumerevoli blocchi di grado inferiore che ho salito negli anni precedenti.
Ad oggi la mia motivazione più grande che mi porta sotto al sasso è data dalla ricerca del mio limite. Sto apprezzando sempre più il processo, inteso sia come la risoluzione di un solo movimento estremo e sia come immagine di insieme di salire effettivamente il blocco. Se prima l’obiettivo era fare tutti i singoli il più in fretta possibile per partire dallo start, ora il singolo movimento diventa una possibilità di esperienza e di crescita. Ragionare su come afferrare un appiglio con millimetri di differenza di posizione delle dita sui cristalli o caricare un piede percependo la posizione adeguata del corpo permette veramente di diventare padrone del gesto. Il bello è che la combinazione tra la tipologia di roccia, la varietà di appigli e le possibilità di movimento rendono le opportunità di esperienza senza fine.
In quest’ultimo viaggio ho quindi deciso di continuare a seguire questa mia motivazione e quindi la lista di linee su cui volevo cimentarmi era piuttosto ambiziosa. Trieste 8B+, Kintsugi 8B+, Squoze 8B+, Sleepwalker 8C erano i primi 4 nomi, ma anche gli unici. Ero consapevole che, in un mese, il tempo, la pelle e le energie per provare troppi boulder di grado medio mi avrebbero solo distratto dall’obiettivo finale di salire un passaggio difficile. L’obiettivo non era assolutamente quello di volerli salirli tutti. Per mio gusto personale, ciascuno ha pari valore per la combinazione di estetica della linea, qualità della roccia, qualità dei movimenti e difficoltà. Sarei stato contento di salire solo uno di questi e il mio approccio è stato quello di dedicare le prime giornate a fare 1 o 2 sessioni su ciascuno per intuire quale di questi mi sarebbe stato più congeniale. Successivamente avrei scelto di investire più tempo sul blocco selezionato. A questo punto come fare? Come impostare le giornate per essere più efficiente possibile ed avere più chance di salire il progetto?
 
I segreti di un viaggio
*Fattore 1: Tempo *
Una visione ottimistica del numero di sessioni che si possono dedicare a un blocco al limite è di una media di 2/3 a settimana, che in un mese risultano in 8/12. Con imprevisti come meteo avverso o giorni di riposo extra questo numero tenderà a scendere molto rapidamente. È molto importante avere una buona tattica per gestire bene tutto il tempo a disposizione. Infatti, esagerare durante i primi giorni potrà impedire di essere performanti al meglio di sé durante la parte finale del viaggio.
*Fattore 2: Pelle*
La pelle dei polpastrelli, ma in generale della mano, rappresenta un fattore cruciale quando si è coinvolti in un progetto al proprio limite. Tendenzialmente le prese saranno più piccole dei normali blocchi/vie che siamo abituati a scalare. Inoltre, elemento spesso sottovalutato ma estremamente importante, durante la risoluzione di un singolo movimento, solitamente il crux, ci troviamo ad utilizzare le stesse 2/4 prese per ore e ore. Per quanto possano essere confortevoli (raramente) queste provocheranno dei tagli o andranno comunque a limare strati di pelle nello stesso punto del polpastrello. Questo è dovuto alla continua abrasione/pressione della pelle del polpastrello contro quel cristallo o punta che ci permette di stare attaccati e senza il quale non riusciremmo ad effettuare il movimento. Ecco che quindi tra una sessione e l’altra ci potrebbe volere dai 3 giorni ad otre 1 settimana di riposo (in caso di taglio netto) per recuperare la pelle adeguata che ci permette di tornare a stringere al 100% le prese sul progetto. Quando si è a casa solitamente si scala nel weekend e quindi si dà per scontato che la pelle avrà tempo di rimarginarsi per essere pronti il weekend successivo, ma durante un viaggio, magari dall’altra parte del mondo, non si è molto propensi ad aspettare giorni e giorni vedendo la data di rientro sempre più vicina. Ecco che la gestione della pelle ricopre un ruolo fondamentale durante un viaggio.
*Fattore 3: Energie*
Piccolo confronto tra la routine e il viaggio. Routine significa allenamenti in palestra, con svariate opzioni di esercizi e prensioni, avvicinamento pressoché nullo, 2/3h a sessione per 2/4 a settimana, si aspetta il weekend e poi si ripete.
Dedicarsi ad un progetto per un viaggio significa stare all’aria aperta, spesso al freddo per cercare le migliori condizioni. Significa avvicinamenti, come nel caso di Red Rocks anche fino ad oltre 1h con un grosso e ingombrante crash pad sulla schiena pieno di materiale per scalare, cibo, acqua e attrezzatura fotografica. È facile arrivare a 30kg per una giornata. Durante la fase di scalata i riposi si allungano ma l’intensità dei movimenti è sempre alta e quindi il nostro output è quasi sempre vicino al massimale. Inoltre, le sessioni si allungano e facilmente si può dedicare l’intera giornata sotto al progetto. In palestra quanto dura la sessione al moonboard? 1h? 2h? Bella differenza. Ecco che è facile approssimare che il consumo energetico medio durante un viaggio è veramente molto più elevato delle giornate medie di routine e quindi il riposo è veramente un aspetto cruciale da tenere in considerazione.
Questi sono solo alcuni dei fattori che reputo più importanti per la gestione di un viaggio di breve/media durata con l’obiettivo di cimentarsi su scalata di alta difficoltà. Ci sarebbero moltissimi altri aspetti da considerare che richiederebbero un’analisi molto più approfondita (e lunga) ma il mio scopo è quello di fornire una panoramica “di quello che sta dietro” al processo di *projecting*.
Ma le questioni da analizzare sembrano essere infinite: Come riuscire a far combaciare il picco di forma con il viaggio? Quanti tentativi fare al giorno? Quando fare un giorno di rest extra per avere la giusta chance? Quando è necessario dare tutto e quando fare un passo indietro? Senza considerare altri elementi che non possiamo controllare direttamente come il meteo e le condizioni di aderenza. E la capacità di mantenere un *mindset* positivo e ottimistico? Difficilissimo.
 
Fine
Come anticipato l’esperienza a Red Rocks non è stata un successo in termini di numeri ma lo è stata come lezione. Sembra che io abbia commesso degli errori per ciascuno dei fattori analizzati. Soprattutto la pelle mi ha creato più problemi in quanto l’aria secca e le rigide temperature di gennaio hanno contribuito a regalarmi due tagli verticali sui polpastrelli di entrambi i medi. Avendo entrambe le mani fuori uso per giorni è stato difficile recuperare il tempo perso. È incredibile quanto avere un buon punto di contatto tra le mani e la roccia sia cruciale per scalare. Scalare con il nastro su delle prese piccole e sfuggenti che si farebbe fatica a sentire con condizioni di pelle adeguate è come provare a scalare con dei guanti da boxe, le sensazioni si azzerano e quindi anche le chance di progredire. Ho comunque deciso di perseverare e dedicare i miei ultimi giorni a disposizione sugli ambiziosi progetti che avevo. Non potevo resistere alla tentazione di provare i movimenti di quei capolavori che sognavo da tempo, anche se ero consapevole di non avere chance di salire poiché non ero riuscito ad investire abbastanza sessioni di tentativi. Sarebbe stato facile scegliere la via più facile e “ripiegare” su blocchi più facili, specialmente a Red Rocks dove l’attenzione è continuamente disturbata dalla qualità dell’arenaria rossa dei vari settori. È un posto di fama mondiale e sicuramente vorrò trovare il momento di tornare per avere migliori chance di salire alcune linee della mia lista dei sogni!

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