Ecco qua un breve racconto del mio ultimo viaggio in Sud America.
Può darsi che qualcuno si stia chiedendo perché “ultimo viaggio”? Perché solo pochi mesi prima mi ero già trovato in Sud America, più a sud, in Patagonia a vivere una delle mie più belle avventure in questa terra: il Cerro Murallon.
Per chi non lo sapesse, Teo (Matteo Della Bordella) è sempre a caccia di nuove sfide: un alpinista insaziabile di grandi avventure.
Un giorno, parlando del più e del meno, gli chiedo cosa avrebbe fatto durante l’estate: risponde che gli sarebbe piaciuto andare in Perù, al Siula Grande, una montagna di 6344m nella Cordigliera Huayhuash e in particolare avrebbe voluto provare ad aprire una via nuova sulla parete Est, la quale fin’ora conta solo una via da parte di un team di alpinisti francesi.
Anche se entusiasta dell’idea non riesco subito a dirgli “Sì, ci sono!” visto che il viaggio sarebbe stato nel periodo estivo – partenza alla fine di luglio con rientro i primi di settembre: 40 giorni di spedizione, che avrebbero impegnato gran parte del mio periodo lavorativo come Guida alpina.
Cosa fare, cosa non fare… Forte anche del sostegno della mia compagna, che diventerà mamma tra pochi mesi, decido di andare e di vivere al meglio questa nuova esperienza, proprio come piace a me: una bella avventura tra le montagne insieme ad amici.
Teo ed io decidiamo di partire, ma manca ancora una terza persona: visto l’impegno della salita e delle difficoltà ambientali decidiamo, infatti, di andare in tre, un buon numero per aiutarci in caso di
bisogno.
Si aggrega così Tito Arosio, giovane e forte alpinista svizzero, che alle spalle ha già un’esperienza in Perù e non solo.
Iniziano quindi i classici incontri per organizzare logistica e materiali… Una volta pronti, il 25 luglio, partiamo per il Perù.
Arrivati a Lima prendiamo subito l’autobus che ci porta al paese di Huaraz: qui passiamo quattro giorni a casa di Vladimiro, la nostra “agenzia di viaggio”, e ci organizziamo per i successivi 30 giorni di campo base.
Facciamo la conoscenza anche di Pio Pollo, l’amabile cuoco che starà con noi per tutta la durata
della spedizione.
Con un pulmino raggiungiamo poi il paese di Queropalca 3831m, punto di partenza per il trekking
di avvicinamento alla montagna.
Il giorno successivo, mentre tutto il materiale viene trasportato dai muli, in circa sei ore di cammino raggiungiamo il campo base, posto a metà della Laguna Siula, a circa 4300m di quota (un’ora e mezza di cammino dopo la Laguna Caruahocha 4138m).
Optiamo subito per un giro di perlustrazione e trascorriamo la giornata a camminare sulle montagne di fronte all’immensa parete Est del Siula Grande. Raggiungendo quota 5100m circa, la fatica e un po’ di malessere si fanno subito sentire, ma soprattutto ci rendiamo conto dell’impegno della salita. Con il binocolo riusciamo ad individuare un’ipotetica linea…
Trascorriamo i giorni successivi trasportando il materiale alla base della parete, ed attrezzando lo
zoccolo. In più riprese riusciamo a portare tutto il materiale a quota 5200m circa, sopra lo zoccolo, dopo aver superato 400m di roccia e un seracco, sul ghiacciaio sotto la parete Est.
Felici del lavoro fatto, ci attende un’amara sorpresa: il ghiacciaio è in cattive condizioni e pericoloso da percorrere, ma sopratutto l’immensa parete ci appare come i grandi muri del Wenden o del Rätikon. Pensare di salire senza l’uso del trapano a batteria è veramente difficile, con l’aggiunta della quota…
“Cosa facciamo?”
Decidiamo di provare a passare per il pendio che ci avrebbe portato in prossimità della cresta per poi raggiungere la cima seguendo questo percorso.
Scendiamo quindi al campo base a riposare un po’, per poi tentare la cima in stile alpino. È il 5 agosto, il tempo è sempre bello, mai una nuvola!
Dedichiamo i quattro giorni successivi al riposo, due dei quali al paese di Queropalca, e il 10 agosto rientriamo al campo base. Questa volta decidiamo di farlo a cavallo: bellissima esperienza, ma che mal di c…o per i due giorni successivi!!!
L’11 agosto lasciamo il campo base per raggiungere la tenda a quota 5200m, per poi continuare in
stile alpino verso la cima nei giorni successivi.
È il 12 agosto, quando a poche ore dalla sveglia, siamo costretti a ritirarci: il pendio che pensavamo di percorrere risulta impraticabile, così come la cresta nevosa: è la prima volta che mi trovo davanti a una neve così asciutta e inconsistente, anche su inclinazioni moderate.
A malincuore, decidiamo di scendere e riportare giù tutto il materiale, con l’ipotesi di un nuovo
progetto.
Intanto però il tempo si è guastato: sulle montagne e al campo base il clima non è più così bello come i giorni precedenti.
Decidiamo allora di provare ad aprire una via nuova sul “pilastro dei francesi”, in stile alpino.
Le previsioni meteo continuano a non essere delle migliori, ma ripetiamo a noi stessi che abbiamo ancora un sacco di tempo, così, riportiamo parte del materiale sul ghiacciaio alla base del pilastro per poi tentare la salita in cinque giorni.
Rimaniamo al campo base a riposare, ma del “bel tempo” neanche l’ombra… anzi! A volte la pioggia ci sorprende, anche solo per poche ore.
Ecco che si apre una piccola finestra di 2 giorni! Dal terzo giorno, purtroppo, il meteo dà ancora brutto, ma decidiamo di partire ugualmente.
Il sole splende, ci muoviamo presto, raggiungiamo il materiale lasciato precedentemente alla base del ghiacciaio e continuiamo…
Per raggiungere la base della parete siamo costretti a passare sotto una zona di grandi seracchi, non senza spaventi e di corsa proseguiamo: Teo prende in mano la cordata e con tre tiri di corda raggiungiamo un bel posto dove bivaccare.
Il giorno successivo inizio io ad arrampicare: trovare una linea logica dove fare le soste non sarà facile, ma riusciamo ad alzarci abbastanza velocemente.
Io e Teo ci diamo il cambio mentre Tito ci segue con il saccone: ci troviamo di fronte a un tiro di ghiaccio di 60m, riesco a salirlo fino a quando incrociamo la via dei francesi.
Ci ritroviamo così su una grande cengia, Teo e Tito continuano e fissano le corde mentre io
preparo la piazzola per la tenda dove passeremo la notte.
In tarda serata inizia a nevicare.
Il giorno successivo il tempo è brutto, non si vede nulla, ci sono circa 20 cm di neve fresca sulla parete, le previsioni mettono brutto per i giorni successivi…
Con grande rammarico decidiamo di scendere: attrezziamo le doppie di discesa, la notte e i giorni successivi è ancora più brutto del previsto, piove infatti anche al campo base.
Con il telefono satellitare ci facciamo dare le previsioni meteo: purtroppo non dicono nulla di buono, “alta pressione forse dal 30/31 agosto”… Il 5 settembre avremmo avuto il volo di rientro per l’Italia.
Non resta altro da fare: questa volta si torna a casa.
Che dire? Coloro i quali frequentano la montagna sanno benissimo che il meteo e le condizioni fanno da padrone, tuttavia il rammarico per non essere riusciti a fare un tentativo vero e proprio alla montagna è tanto e ce lo portiamo dentro.
Insomma, il fallimento, se così vogliamo chiamarlo, ci sta: la montagna è anche questa.
Sarebbe sicuramente stato meglio non farcela per altri motivi: difficoltà tecniche, fatica o anche solo per condizioni… Come si suol dire “non tutte le ciambelle escono con il buco”.
Comunque sia andata, è stata una grande esperienza, dove ho imparato un po’ di cose sulla quota e sicuramente il Perù è una bellissima terra, un luogo in cui tornare.
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