Quella dell’inizio 2014 non è stata una stagione delle più facili in Patagonia, almeno per quanto riguarda le condizioni meteo, tornate alla tanto celebrata instabilità su cui si è costruita la nomea di queste montagne. Entrambe le spedizioni dei Maglioni Rossi presenti in zona hanno dovuto abbandonare i rispettivi progetti sul Cerro Torre per dirottare verso altre cime in condizioni migliori.
Il Ragno Davide Spini e i compagni Mirko Masè e Bruno Mottini, dopo settimane di vana attesa sono riusciti a strappare al maltempo una veloce salita al Fitz Roy lungo la via Californiana, con discesa notturna dalla Franco-argentina… il tutto praticamente quando l’aereo per il ritorno a casa stava già rombando sulla pista. Più tempo e più occasioni hanno avuto invece Matteo della Bordella, Luca Schiera e lo svizzero Silvan Schupbach, che, pur avendo mancato l’obiettivo originario, sono riusciti a togliersi più di qualche soddisfazione, mettendo anche in cantiere nuove idee e sogni per il futuro… A loro il compito di raccontare questa ennesima avventura.
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DUE MESI ALLA FINE DEL MONDO
di Luca Schiera
Esattamente quarant’anni dopo la futuristica salita dei Ragni sull’allora “montagna impossibile”, io e Teo voliamo verso la Patagonia con in testa una linea sulla parete nord del Torre.
Appena arrivati ci rendiamo però conto che fino a quel momento la stagione non è stata delle migliori, pochi alpinisti hanno scalato qualcosa e le pareti sono completamente incrostate di ghiaccio. Subito facciamo un paio di giri fino all’inizio del ghiacciaio sotto la parete, sia per porta- re tutto il materiale che per allenare la gamba.
Sotto le forti raffiche di vento incontriamo i nostri amici Davide, Mirko e Bruno, anche loro diretti al Torre. In un giorno di attesa usciamo dalla tenda per scalare la via di ghiaccio al Mocho: Todo o Nada.
Poco ghiaccio consistente, molta neve e un po’ di misto. Mentre il vento cresce arriviamo sulla piatta cima avvolti da un debole luce bianca, con gli spindrift che ci arrivano da tutte le direzioni, come un miracolo appare uno spit su un pezzo di roccia scoperto, la nostra unica possibilità di far sosta e scendere! Qualche giorno dopo ci raggiunge anche Silvan, il team è al completo, ma il Torre è ancora totalmente smaltato di ghiaccio. Mentre aspettiamo prepariamo nuovi piani.
Quando finalmente arriva una buona finestra di alta pressione scartiamo l’obiettivo iniziale che ancora non è in condizioni e proviamo per la zona del Fitz, unico problema: abbiamo tutto il materiale nell’altra valle…
Decidiamo di salire verso la famigerata ovest della Silla, sbinocoliamo tutto il pomeriggio e partiamo carichi per cinque giorni di scalata. Dopo un lungo e impegnativo avvicinamento su roccia e misto arriviamo sotto la parete, ma non troviamo nessuna linea continua fino in cima.
La mattina successiva ci spostiamo verso sinistra, tra canali e pareti di roccia arriviamo al Col de los Americanos. Saliamo il giorno stesso l’estetico spigolo est e bivacchiamo alla base del Fitz.
Con il tempo ancora stabile partiamo la mattina successiva sulla via dei Californiani, arriviamo alla sera appena sotto la cima, apriamo i sacchi a pelo e ci sistemiamo in una buca nella neve. Sotto di noi il gruppo del Torre (così piccolo da qui in alto!), sopra di noi un’altra stellata irreale. Saliamo ancora assonnati gli ultimi facili metri fino alla cumbre, il vento inizia ad alzarsi e qualche nuvola si avvicina da ovest, buttiamo le doppie e con alcuni problemi di orientamento raggiungiamo il ghiacciaio. Durante la successiva finestra di bel tempo saliamo un terzo dell’ancora irripetuta via dei Ragni sull’enorme pilastro Est del Fitz Roy, prima di ritirarci.
Più tardi, durante quelli che sono gli ultimi giorni buoni della stagione (la fantomatica finestra di inizio marzo di cui i locali parlavano, ma in pochi speravano) riusciamo a salire un’importante variante (o via nuova) alla superclassica Chiaro di Luna, Aguja Saint Exupery: dopo quindici ore filate con le scarpette i miei piedi non sono più gli stessi…
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SULLE TRACCE DEL MIRO
di Matteo Della Bordella
All’interno del gruppo Ragni – ma anche al di fuori – se ne parlava già da un po’: “Sarebbe bello andare a ripetere la via dei Ragni al Fitz Roy, ripulirla dalle scalette di metallo e poi salirla in libera…”.
Un progetto che in realtà ne contiene 3 diversi e che rientra senza dubbio nella categoria di quegli obiettivi “che valgono una spedizione”. La via dei Ragni al Fitz Roy sale per circa 1200 metri di parete sul pilastro Est, fu terminata nel 1976 da Casimiro Ferrari e Vittorio Meles, dopo innumerevoli tentativi portati avanti da un folto team del gruppo Ragni e dopo che già in precedenza altre cordate avevano tentato senza successo questa via.
Il successo di Casimiro Ferrari su questa parete è arrivato dopo un vero e proprio “assedio”, andato avanti mesi e che ha richiesto “artiglieria pesante”, quali centinaia di metri di scalette metalliche, e centainaia di chiodi (ma non a pressione!).
Erano altri tempi e stiamo parlando a tutti gli effetti di una grande impresa alpinistica d’altri tempi. Negli anni successivi sull’imponente parete Est del Fitz sono nate altre vie molto blasonate e che al giorno d’oggi contano qualche ripetizione come “Royal Flush” o “ El Corazon”, ma per un motivo o per l’altro, nessuno ha mai ripetuto il pilastro Est dove corre la via dei Ragni.
Decidiamo di provare a metterci le mani noi e partiamo con l’intento di ripetere la via in 3 giorni. Partiamo di buon ora dal Paso Superior e superiamo la terminale appena fa chiaro.
Qui inizia la festa: i primi 160 metri sono costituiti praticamente da un unico diedro solcato da una fessura mano-pugno-offwidth sulla sua faccia sinistra. La scalata è fantastica e molto sostenuta, tutta d’incastro e perfettamente verticale. Solo che servirebbero 4 serie di friend dall’1 al 4 per proteggersi in modo adeguato. Con 3 fantastici tironi da 55 metri, in circa 3 ore siamo alla fine del pilastro. E qui iniziano i dolori: traversi, camini bagnati, fessure ghiacciate e scalette di metallo in mezzo.
Come ha detto Silvan da qui in poi la scalata diventa “90% not fun and 10% dangerous”. Pian piano mi faccio strada sui tiri successivi. A volte, per fare più in fretta tiro qualche scaletta di metallo evitando così di dover ripulire i tratti di fessura ghiacciata.
Ogni volta che mi appendo a quei pioli inizio a sudare freddo e mi vedo già precipitare giù con la scaletta che mi arriva in faccia, ma per fortuna nonostante qualche cavo strappato, le scalette di Casimiro (o chi le ha costruite per lui) dimostrano solidità anche dopo 38 anni!
A pomeriggio inoltrato raggiungiamo la prima grande cengia e con qualche lunghezza più facile su terreno misto ci portiamo sotto a una nuova parte verticale. Siamo alla ricerca di un posto da bivacco, per passare la notte, ma non riusciamo a trovare nulla, solo qualche cengia spiovente ricoperta da ghiaccio e neve.
Mi viene in mente che sulla relazione di “Royal Flush” è indicato un posto da bivacco al 14esimo tiro, così pensiamo di andare lì a bivaccare per poi ridiscendere il giorno successivo. Purtroppo, non so se normalmente ci sia meno ghiaccio in parete e le cenge siano pulite o se il bivacco sia inteso con amaca o portaledge, ma anche qui non troviamo sulla, solo cenge spioventi coperte con ghiaccio e neve e un posto per sedersi per una persona.
Siamo di fronte alla scelta di passare la notte appesi o rinunciare. Facendo due calcoli: abbiamo davanti a noi una parete di 900 metri alta e ripida come El Capitan, non sappiamo nemmeno bene dove passa la via per poter provare a procedere di notte, stiamo scalando da 13 ore ed avremmo bisogno di riposo.
Decidiamo all’unanimità di scendere. Anche se dentro di me è una decisione che stavolta brucia. Brucia e mi lascia qualche rimorso perché la motivazione era altissima e stavamo procedendo nei tempi previsti. Ma forse una decisione saggia, a giudicare dalle condizioni in cui mi sono risvegliato la mattina successiva e considerando il fatto che a metè del terzo giorno si è alzato un vento molto forte, mentre stando alle nostre previsioni il tempo avrebbe dovuto tenere almeno fino alla mattina seguente.
L’inizio di un nuovo progetto? Si vedrà. In realtà quello che un po’ sapevo già della Patagonia, ma di cui ho ancora avuto più conferma quest’anno è che è molto difficile e rischioso fare programmi e focalizzarsi su un unico progetto. Molto meglio partire con qualche obiettivo chiaro e poi decidere sul posto in base alle condizioni che si trovano.
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Concatenamenti e nuove realizzati nel corso della spedizione 2014:
CERRO FITZ ROY
Californiana Sit Start 1800m 6a+ C1 M5
Concatenamento, con partenza dall’Hombre Sentado, dell’Aguja de la Silla cresta Est e della via dei Californiani al Fitz Roy
AGUJA SAINT EXUPERY
Can accompany only 750m 7a max
Primi 350 metri sulla linea di “Chiaro di Luna”, poi 350 metri su terreno vergine fino alla cima, salita tutta a vista. Nessun materiale lasciato in parete.