Questo racconto fu pubblicato su ALP, speciale Futuro (Aprile 2012). I miei racconti, romanzi, scritti vari, non sono più legati alla montagna da molti anni, e di fatto questo è l’unico del genere dal 2006 ad oggi. Per questo lo ripubblico qui e non da altre parti (se siete curiosi, su www.fabiopalma.net ci sono altri miei scritti).
Mano morta e il professore (©Fabio Palma)
Quello che in qualche modo fregò Mano Morta è la credibilità. Lui non divenne un escluso per quella mano, che pure a guardarla bene non è che fosse proprio una bellezza, si capisce, ma per un’altra oscura prerogativa che consisteva in una fervida e presuntuosa fiducia in non meglio precisate capacità precognitive (chi adora la letteratura di fantascienza, non potrà fare a meno di ricordare i precog che Dick* ha sparso in vari suoi romanzi). Tanto per dire, se ne venne fuori che Ozzy Osbourne sarebbe diventato famoso per una serie televisiva sulla sua famiglia, che sarebbero arrivati i tempi in cui anche in Europa un Presidente del Consiglio sarebbe stato beccato con delle minorenni, e così via. Perse quello che si suol dire la credibilità.
E guardate che è una cosa brutta, eh. C’è gente che ci è impazzita, con questa cosa. Potete togliergli la moglie e i soldi, ma se gli levate la credibilità… essere creduti, in questo mondo, va al di là del razionale.
C’è della trascendenza, in gioco. Se non sei creduto, ti sovviene che non sei nessuno. Non è che puoi accontentarti di te stesso, insomma. Comunque Mano Morta, anche mentre camminava, su un water o alla guida del suo Ciao, pensava e immaginava, e, diceva lui, ci azzeccava pure. Disse che un giorno ci si sarebbe allenati per correre in montagna, per salire più veloci, che sull’Eiger si sarebbe fatta colazione al caldo non prima delle 8 e poi a mezzogiorno a pranzo dopo quella mitica salita polverizzata in meno di tre ore, e così via. Disse perfino (e qui, francamente, siamo all’in-credibile), che un giorno certi colossi si sarebbero saliti con un litro d’acqua e due stecchi di cibo ben compresso, un paio di kg di abbigliamento indosso, scarpe basse e pedalare. E se ci fosse stato da scalare, via così, senza chiodi o altro. Vedo bene che andranno tutti veloci, disse una volta. Toccata e fuga, come quella di Bach. Che, a ben vedere, era stata pure una composizione un po’ precog, ma sai com’è… mischiare il sacro col profano…
Fatto sta che Mano Morta ci credeva, a quello che affermava. Si mise a correre, ogni mattina un’ora buona, prima della colazione, poi piscina la sera, e palestra e pesi, trazioni e flessioni, mise su una forza che… e poi quel detto, vola come una farfalla e punge come un’ape, lui diceva che si poteva applicare all’alpinismo, alla scalata, al salire le montagne.
Hai voglia a dirgli che il pugilato non ci azzeccava nulla, con l’arte del salire in alto…
Una volta, me lo ricordo bene, ebbi un’accesa discussione, con Mano Morta.
Non posso dire che la ricordi esattamente, sono passati tanti anni, ma qualche frase ce l’ho lì, davanti, come marchiata a fuoco sul fianco di un cavallo.
E quindi secondo te un falco prova meno emozione di una colomba, disse Mano Morta
…
Che c’entra, scusa?
Il falco è cento volte più veloce, no? Quindi mentre vola…
Ma mischi la rava e la fava. Sto parlando di panorami, di visioni.
Beh, guarda, allora, guarda. Indicò sulla destra, davanti a noi. Il cielo era diventato un braciere rovente, chiazzato di rivoli magmatici, con alcune striature viola ancora indecise se virare al buio assoluto o rimanere accese per ricordo del giorno trascorso.
Eh, che c’è. È bellissimo. E allora?
Vedi là, sotto? Quella parete? C’è una via là, lo sapevi?
Certo, la Cassin. Lo sanno tutti, che passa di là.
Appunto. Cosa noti, di quella via?
Una signora Nord, ecco cosa noto.
Vedi? Se tu l’avessi scalata in dieci ore, non avresti visto che freddo scuro. E niente di quel tramonto, vedi da dove lo notiamo noi? E invece uno scalatore veloce… sarebbe qui, con noi, a gustarselo. Allora, a fine giornata, è il lento o il veloce ad assaporare a tutto tondo la montagna?
…
E poi, scusa, c’è un paradosso. Perché saresti tu nel giusto, comunque? E non uno ancora più lento di te? Uno capace di andare così lento da stare giorni e giorni, su quella via? Uno fortunato da averci il tempo, di starci su? Un privilegiato?
Adesso la metti sul sociale, feci io.
Si infervorò. Agitò quel moncherino di mano levandolo in alto, come una bandiera raggrinzita. Certo che mi infervoro, urlò. Con la storia della lentezza, dell’andare in montagna a gustarsi il silenzio, col tempo tutto tuo, e così via, voialtri ci state a dire che se sei un poveraccio che ha un mezzo pomeriggio a disposizione…
Aspetta, dissi. Aspetta un po’. Ti stai contraddicendo, adesso. Uno che si allenasse come un atleta olimpico, come dici, che fosse capace di correre su quella via, non sarebbe mica un operaio. Questo proprio no, non me lo dire. Sarebbe tipo, tipo un calciatore. O quello Spitz, il nuotatore. Un privilegiato, eh.
Si zittì. Stavamo mischiando un po’ di cose, si capisce. Sacro e profano, dialettica e silenzi. Intanto il tramonto, me lo ricordo bene, aveva deciso di chiudere le tende, diciamo così. Le tre cime erano diventate uguali a tutto il resto, ovvero il nulla-buio. Come se di giorno fossero
guardiani di qualcosa, e di notte nulla di più che scuro nello scuro.
A guardare bene, però, c’era una luce, in alto.
Guarda, bivaccano, dissi io.
Mano Morta era in silenzio, adesso. Lanciò uno sguardo verso il gendarme chiamato Cima Grande, ma era uno sguardo triste, non so perché.
Non diventerò mai uno scalatore vero, disse.
Uno scalatore vero? E che cosa significa?
Vero e giusto, aggiunse.
Vero e giusto.
Già.
C’è differenza?
Scosse la testa. Non capisci neppure questo, tu.
Rimasi in silenzio, un po’ sulle mie, sulla risposta. Non mi era molto piaciuta, mi parve un’offesa gratuita, ma non glielo volli dire. E feci bene, perché mi sarebbe rimasto un peso, qualche giorno dopo. Quando Mano Morta fu trovato freddo e fermo proprio su quella Cima Grande là, quella che passava dalla guardia all’indifferenza come noi ci abituiamo a trascorrere giorno e notte.
Non ho più scalato né amato le montagne, da quel giorno. Mi dicono che davvero oggi c’è gente che corre e si emoziona, e gente che va lenta e si emoziona lo stesso, solo modi diversi, tutto qui. Futuro con radici nel passato, mi dicono. Alpinisti che tentano un’invernale su un 8000 in due, due ragazzi sulla Ovest della Egger in due. Robe da non crederci, e difatti non so se crederci, ve lo devo proprio dire.
Ora faccio altro, da allora, per la precisione. Sono un insigne matematico, per la precisione. Un professore. L’altro giorno ho fatto una lezione sulle geometrie non euclidee, quelle che dicono che due rette parallele qualche volta si incontrano in un punto, e che in altri casi possono essere infinite parallele a un’altra pur passando per uno stesso punto. Il mondo ci ha messo millenni, ad accettarlo. Il grande Gauss, un matematico coi fiocchi, fu uno dei primi ad intuirlo, ma non lo disse, non ne ebbe il coraggio. Scrisse, in una lettera a un amico, meglio non affermare certe cose, con tutta quella massa di beoti che ci sono là fuori, quelli che non hanno immaginazione.
Stavo spiegando proprio questa cosa, ai miei studenti, stavo dicendo dell’immaginazione, quando mi è venuto in mente Mano Morta, e l’alpinismo, e il futuro e il salire le montagne. Mi sono detto, vuoi vedere che aveva ragione, quel testone? Che davvero era una questione di immaginazione, l’andare veloce e nel futuro, anche in montagna?
Devo informarmi, mi sono detto. Stai a vedere che oggigiorno davvero scalano come diceva Mano Morta. Stai a vedere, mi sono detto. Bisogna essere veloci per rincorrere le nuvole (così Manolo ha chiamato una sua via).