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MALI 2006

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L’anno del sessantesimo anniversario del Gruppo Ragni sta volgendo al termine e con lui il progetto LIBERI IN LIBERA che con questa spedizione tocca la sua penultima tappa (l’ultima sarà la Patagonia a Gennaio 2007).

Il 25 Novembre partiamo dall’aeroporto di Milano Malpensa con destinazione Mali, un grande paese dell’Africa occidentale sud-sahariana. Il team è composto da me (Marco Vago ndr), Simone Pedeferri, Adriano Selva, Giovanni Ongaro e Cesare Bugada. Per tutti, chi più chi meno, le Mani di Fatma hanno sempre destato sogni, fantasie e curiosità stimolate dalle diverse letture di libri e articoli che negli anni si sono occupati di questo luogo misterioso. Infatti, già 15 anni fa Catherine Destivelle aveva visitato questi luoghi ed arrampicato su queste pareti parlandone poi in un suo libro. Dopo di lei Todd Skinner, Paul Piana, Arnoud Petit, Kurt Albert ed altri avevano lasciato il loro segno… adesso toccava a noi.Atterriamo a Bamako alle 03:00 di notte del 26 Novembre. Troviamo subito Adama che ci aspetta al ritiro bagagli e, dopo aver sbrigato le solite rogne burocratiche con la polizia, carichiamo tutti i nostri sacconi sul pulmino che ci porterà in un piccolo alberghetto di Bamako dove dormiremo qualche oretta. La mattina seguente ci aspetterà un lungo viaggio di 12 ore per arrivare a Moptì, altra grande città del Mali. Qui faremo conoscenza con la nostra guida, Salvador Campillo, che ci prenderà in consegna e con la sua jeep ci porterà fino alle Mani di Fatma, alle porte di Hombori, dove campeggeremo per le tre settimane successive.Durante i due giorni di viaggio, guardando dai finestrini della vettura, vediamo passare molti paesi più o meno piccoli, spesso ammassati a ridosso della strada che è la più importante via di comunicazione del Mali, infatti questa strada collega la capitale Bamako all’altra grande città, Gao, posta 2000 chilometri a nord, all’estremo opposto della nazione. Ai nostri occhi si presenta una realtà assai dura, di bambini mezzi nudi e spesso sporchi che si stringono intorno alla nostra jeep ogni qualvolta ci fermiamo, chi per cercare di vendere qualcosa (banane, acqua, focaccine, occhiali, ecc…), chi invece per chiedere un “cadeau”, cioè un regalo, una qualsiasi cosa che sia una penna, un adesivo o una moneta…Ci rincuoravamo pensando che, sì certo, questo modo di vivere fa sicuramente parte della cultura locale, che comunque vedevamo cibo in abbondanza, ma Salvador ci ha riportato subito con i piedi per terra spiegandoci che in Mali la vita media delle persone è di 44 anni e che c’è una mortalità infantile del 33% a causa di diverse e svariate malattie tra cui, di certo non ultima, la malaria. La situazione nei villaggi lontani dalle grandi vie di comunicazione è ben più amara, soprattutto al nord, proprio nella zona di Hombori ed in special modo tra i villaggi Dogon a ridosso delle pareti, le stesse pareti sulle quali magari noi avremmo scalato.E’ gente molto povera, che vive dell’essenziale, ma comunque sempre con grande dignità e gioia, ed è questa una delle cose che più mi ha colpito di questo popolo, ossia che a nessuno manca mai il sorriso e la curiosità, sempre molto ospitali e pronti a dividere quello che hanno, per pur poco che sia, con noi visitatori.

Salvador è di origine spagnola, anzi catalana precisa lui, e da più di vent’anni vive in Mali (almeno nei mesi invernali passando il resto dell’anno in Spagna) con sua moglie, originaria di lì, e con suo figlio Yayè di 16 anni. Salvador è stato uno dei primi e più grandi valorizzatori di queste pareti, infatti in 24 anni ha aperto numerose vie sia alle Mani di Fatma che sulle pareti circostanti. E’ sicuramente la persona con maggiore esperienza e conoscenza su queste pareti, nessuno meglio di lui poteva mostrarci le innumerevoli possibilità che esse offrono e quante e quali insidie nascondano dietro il loro grande fascino.

Abbiamo passato complessivamente tre giorni in jeep per visionare centinaia di pareti, tutte alte tra i 200 ed i 500 metri, tutte di bellissima arenaria compatta e di sicuro molte altre non le abbiamo nemmeno viste. Da Salvador abbiamo carpito molti trucchetti ed espedienti per rendere la vita e l’arrampicata in questi luoghi meno dure: come mantenere fresca l’acqua nelle bottiglie, come evitare di trasmetterci infezioni pur bevendo dalla stessa borraccia, come limitare l’inconveniente della disidratazione e della dissenteria alle quali comunque, chi più e chi meno, non siamo sfuggiti.

Anche se, per la mancanza di alte cime innevate, questi luoghi sono lontani dall’immaginario collettivo dell’alpinismo, il Mali è comunque un posto severo e duro quanto la Patagonia, anche se per problematiche diverse. E’ un condensato contrapposto di paradiso-inferno e dietro la visione idilliaca dei paesaggi esotici e delle pareti solari si nascondono spesso i fantasmi delle infezioni batteriche e della disidratazione, infatti in questi luoghi, ci spiega sempre Salvador, bastano 24 ore senza acqua per morire!

Dopo qualche veloce ripetizione di alcune vie esistenti per abituarci alla roccia ed al tipo di scalata, nelle tre settimane della nostra permanenza, dividendoci in diverse cordate, abbiamo aperto tre nuove vie su diverse pareti e ripetuto una decina di itinerari già esistenti. Tra questi, sicuramente è da segnalare la veloce ripetizione in solitaria e slegato dello spigolo nord del Kaga Tondo ad opera di Adriano Selva, ma lasciamo che siano i protagonisti a raccontarvi di loro pugno le loro piccole-grandi avventure…

Ci sarebbe molto altro da raccontare su questi luoghi e sulle splendide persone che li abitano, ma ne uscirebbe un libro e questa non è certo la sede per poterlo fare. Lascio questo oneroso compito alle righe scritte dai miei compagni di viaggio ed alle poche immagini pubblicate, sperando che questo vi stimoli e vi incuriosisca quanto basta perché ci andiate di persona.

Marco Vago

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