Il nostro viaggio per quest’anno volge al termine, ma prima di rientrare a casa, la Patagonia ci ha concesso un’altra avventura, in una giornata passata in compagnia del fedele vento Azul.
A febbraio del 2019 Matteo Pasquetto ed io ci eravamo uniti in cordata alla forte scalatrice canadese Brette Harrington, con l’idea di aprire una nuova via sulla parete chiamata “El Mocho”. El Mocho è una parete particolare: vista al cospetto del Cerro Torre appare come un piccolo avancorpo privo di alcun valore alpinistico, dalla forma tozza e dall’altezza modesta. Tuttavia, proprio questa sua posizione “sfortunata”, al cospetto della “madre di tutte le pareti” ovvero la Est del Torre, fa spesso commettere grossolani errori di valutazione…
Allora partimmo convinti di salire una linea nuova, che seguiva un sistema perfetto di fessure e raggiungere senza problemi la cima di “El Mocho”, ma ci bastò un breve assaggio per capire che quello che fino a poco prima ci era sembrato solo un “piccolo avancorpo” ora invece era una parete di tutto rispetto, molto più lunga e difficile di quanto preventivato.
Quel giorno insieme a Brette salimmo 5 tiri e mezzo, di cui uno (tirato da Brette) particolarmente impegnativo dal punto di vista psicologico, prima di rientrare sconfitti alle nostre tende. Fu una bella “bastonata imprevista”, di quelle che fanno bene ogni tanto e ti ricordano ogni tanto di abbassare le orecchie che su queste montagne non c’è nulla di facile e scontato. (il report del tentativo di apertura della via nel 2019)
Il 28 febbraio di quest’anno la meteo annuncia una giornata di tempo discreto con un po’ di vento, così Matteo ed io decidiamo di riprovarci, mentre Berna purtroppo rinuncia a causa dell’influenza (tranquilli che per fortuna non ha il corona virus). Fin dal mattino le raffiche di vento ci fanno postporre la prima sveglia di un’ora, per fortuna appena decidiamo di alzarci incontriamo fuori dalla nostra tenda gli amici svizzeri Roger e Jonas che ci danno inconsapevolmente un po’ di motivazione.
Sono ormai quasi le 9 quando decidiamo di attaccare la via, ripercorrendo in libera i tiri aperti lo scorso anno insieme a Brette: quattro lunghezze bellissime, tutte impegnative e molto fisiche.
Giunti sotto il tiro chiave, il vento che fino a quel momento ci aveva risparmiato, torna prepotente a farse sentire, tuttavia ormai decidiamo di non mollare, ed invece che ripercorrere il precario tiro su pecker di Brette troviamo una variante a destra decisamente meno psicologica che ci porta in breve al punto massimo del 2019.
Da qui ci illudiamo di poter terminare la via senza grosse difficoltà, fino a quando a sbarrarci la strada troviamo una fessura fuori misura di 40 metri, con il finale leggermente strapiombante. Capisco subito che sarà estremamente dura, ma parto concentrato, raccogliendo tutte le energie per provare a salire in libera questa lunghezza che sembra rubata a Yosemite. Dopo 25 metri purtroppo esplodo sfinito, con le caviglie sanguinanti e senza un briciolo di energia rimasta: è incredibile come questo genere di scalata sia in grado di svuotarti completamente!
Un ultimo tiro ci conduce in cima al nostro pinnacolo, dove avevamo già previsto di terminare la nostra linea, da cui unendosi ad una delle vie già esistenti si può raggiungere la “cima” di El Mocho.
Abbiamo chiamato la via Jurassic park perché il Mocho qui in Patagonia è forse un po’ un parco giochi, che però come nell’omonimo film, dopo un’idilliaca apparenza iniziale, può avere risvolti inaspettati…