Molto strano e poco logico che io scriva questo contributo, il Fitz Roy lo vidi nel 1993 ma allora non scalavo e certo non immaginavo, un giorno, che sarei entrato nei ragni e avrei dato l’impulso a salirne una via.

Già, della leggendaria via dei Ragni sulla Est del Fitz si sapeva ma stranamente se ne parlava poco. Frutto di più anni di tentativi da parte di cordate di diverse nazionalità, fu infine conclusa dal solito Casimiro Ferrari (sempre più incredibile constatare quello che ha fatto in Patagonia, impossibile non metterlo nella lista dei più grandi alpinisti italiani di tutti i tempi) con il cugino Meles, non proprio alpinista espertissimo. Un particolare curioso ne faceva capire la difficoltà: non era mai stata ripetuta. E sempre mi risuonano le parole di Franz Carnati dopo il primo anno negativo alla Ovest della Egger: “se nessuno l’ha ancora salita, un motivo ci sarà”.

Infatti.

Come per questa via; se, così bella e impressionante, e per giunta sfida per liberisti, a 40 anni non fosse ancora stata tentata, un motivo doveva pur esserci, ed ovviamente era che fosse temibile, complessa e complicata. Quattro giorni di bello per salirla, anzitutto, non uno o due. Esattamente come per la Ovest della Egger. In Patagonia, 4 giorni di bel tempo consecutivi sono un poker al tavolo principale. E se fai alpinismo di roccia, non ci sono sconti: non si sale, non ce la può fare nessuno. E poi, una quantità impressionante di materiale di più spedizioni che di fatto ostacolava una salita moderna, dove lo stile è anche importante e salire a tutti i costi non è più prioritario, bisogna salire con stile, e per una linea del genere lo stile migliore è quello alpino (parti e stai sulla parete), in libera ( scali in arrampicata libera, nonostante vento, ghiaccio, etc), e a vista . Stile adottato meravigliosamente all’Uli Biaho. Dove c’era la quota e un avvicinamento molto più rischioso, lungo e complicato, sì, ma meteo decisamente meno ostica. La Patagonia, come meteo brutta, non la batte nessuno.

Furono Favresse e Villanueva a farci sobbalzare, non molto tempo fa: dichiararono che questa via era magnifica ma orrendamente abbruttita dalle scalette. E sfogliando la loro intervista, ci guardammo anche un pò imbarazzati. Cavolo, forse ci tocca ripulire un pò…era un vero e proprio attacco ad uno stile pesante, peraltro normale all’epoca per tutti, ma in qualche modo ora si parlava di ragni, non di altri. E le nostre precisazioni che tutto quel materiale non era solo nostro non ebbero lo stesso clamore delle foto di Favresse. Così cominciai a parlarne  a Simone, al Pota, al Berna, a Luchino, al Teo, al Giò…questo già due anni fa.

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Così ora, a testa alta, posso dire che un primo passo è stato adempiuto. I Ragni hanno ripulito la parete, e poi degli altri alpinisti ( il giorno della ritirata per il malore di Silvan i nostri non poterono riportare indietro il materiale dalla base) lo hanno riportato alla…civiltà. Ben 35kg di scalette, pesate. Adesso, certo, resta ancora da completare la prima ripetizione, e in libera, ma questa, spero, sarà un’altra storia. Pera la cronaca, al momento del malore di Silvan che ha fatto saggiamente decidere a Matteo e Luca di scendere, erano stati ripetuti 750 metri di parete con difficoltà, in libera e a vista, fino al 7a+/b. Ma ne mancavano almeno 600…una parete enorme, una via straordinaria, stranamente meno famosa di altre ma decisamente fra le vie alpinistiche più dure e complesse del pianeta

Nella foto Inaki Cousirrat, fotografato da Cristobal Senoret, mentre si carica verso El Chalten