Per molti scalatori la parola Spagna si associa alle più belle falesie del mondo. Se penso alla scalata in Spagna per prima cosa mi viene in mente Siurana, poi Rodellar e magari Margalef, mi vengono in mente Andrada e Sharma e mi vengono in mente lunghi tiri strapiombanti di ogni genere su buchi, canne, tacche ed ogni genere possibile di calcare perfetto. Poi mi viene in mente la vita rilassata da vacanza in falesia, quella dove ti svegli tardi e scali fino al tramonto, mi vengono in mente gli spagnoli ed il loro carattere amichevole e solare…ed allora la mia mente corre già verso la birra dopo la scalata, le tapas e la vita rilassata da vacanza.
Spagna. Non che quello di cui io vi ho parlato fino adesso non mi piaccia…ma per questo viaggio cercavo qualcosa di diverso: in Spagna ci sono anche montagne, e tra queste il Naranjo de Bulnes è senza dubbio quella più estetica e che gode della maggiore fama.
Se in Italia in Naranjo è noto ai pochi addetti ai lavori più che altro per la via “Orbayu”, creazione dei fratelli Pou ed una delle vie più difficili al mondo, in Spagna il Naranjo è una montagna simbolo, un po’ come per noi la Marmolada o per gli Svizzeri l’Eiger o per gli Americani El Capitan. Gli spagnoli vanno fieri del Naranjo e se lo tengono ben stretto, giustamente orgogliosi di questo bellissimo monolite calcareo di 500 metri, immerso nel paradiso naturale dei Picos de Europa.
La foto del Naranjo mi aveva già catturato 15 anni fa, la prima volta che la vidi. Questa cosa per me è molto importante. Una montagna secondo me deve piacere: deve piacere la sua forma, la sua estetica, il suo nome, la sua scalata. Ci sono montagne pur difficili e belle che ci piacciono ed altre che invece non ci dicono nulla. Ne parlavo proprio un mesetto fa con un amico, sono sempre più convinto che non bisogna per forza scalare tutto, ma solo quello che ci piace e nello stile che ci piace.
Ad ogni modo, ci avevo già provato qualche altra volta ad andare a scalare il Naranjo ma poi qualcosa sempre non aveva funzionato e così questa bella montagna è rimasta lì nel suo angolino, fino a quando, insieme ad Arianna dopo essere stati insieme nei luoghi più lontani del mondo, sono (non so ancora bene come) riuscito a convincerla che per una volta si poteva andare a vedere un posto che sembrava veramente figo, anche senza cambiare continente…
Dopo un primo assaggio di Spagna fatto di falesia, cerveza e tapas, che la nostra vacanza non andasse avanti con lo stile classico spagnolo ad Arianna lo avevo messo in chiaro fin da subito. Ero lì per il Naranjo e su questa bella parete mi ero messo in testa la mia sfida personale, una sfida chiara e semplice, ovvero salire la via “el pilar del cantabrico” in libera. Fatto quello poi il resto della vacanza poteva anche essere a tapas, falesia, bocce o freccette, il resto contava poco.
Il “pilar del cantabrico” era la via prescelta per due ragioni: la prima è la “dimensione” della sfida che in questo caso era quella giusta per me, dove erano alte le probabilità di non riuscire, ma avevo anche possibilità concrete di riuscirci. Per esempio, se avessi scelto “Orbayu” sarebbe stata una sfida per me senza alcuna chance di successo perchè troppo difficile e se invece avessi scelto vie più facili come per esempio la “murciana” sarebbe forse stata una sfida dall’esito scontato. Una cosa bella dell’alpinismo è anche questa: noi alpinisti abbiamo il privilegio di poterci scegliere le sfide su misura ed in questo caso sentivo che il pilar era della mia misura.
Il secondo motivo è che sebbene per noi italiani “pilar del cantabrico” non voglia dire nulla, in Spagna questa via è una leggenda vera e propria. Aperta in artificiale nel 1981 da Antonio Gómez Bohorquez e Jesús Galvez negli anni questa via ha fatto la storia dell’arrampicata spagnola e da qui ci sono passati tanti dei migliori scalatori di questo Paese: fu liberata da Francisco Fernández nel 1991, poi arrivò da Dani Andrada, che la salì in libera ed in giornata nel 1995. Poi nel 1997 fu il turno della salita di Iker Pou, quindi addirittura lo stesso Iker insieme a Josune Bereziartu furono ripresi dalla tv spagnola durante la loro salita nel 2002. Poi seguirono altre ripetizioni, fino alla prima a-vista/flash realizzata nel 2012 da Dani Moreno. Insomma, una via con una storia di un certo spessore fascino…
Veniamo alla nostra salita.
El pilar del cantabrico giorno 1.
Quando nelle due settimane precedenti il 90% dei tiri di fino al 7c ti sono venuti a vista e qui ti ritrovi già appeso al secondo chiodo del primo tiro di 7b+ con i piedi a penzoloni in strapiombo hai due possibilità: o stai pisciando fuori dal vaso, oppure è ora di darsi una mossa e tirare fuori gli artigli. Fortunatamente scopro che forse ricado nella seconda di queste ipotesi e riesco a salire il tiro abbastanza agevolmente al secondo giro.
Entriamo subito nel vivo della via con il secondo tiro di 8a. A vista praticamente non ci provo neanche, ma mi studio bene i movimenti del tiro, torno alla sosta di partenza, riposo 5 minuti e non di più, e riesco a portare la corda in catena senza cadere. Che bella sorpresa! “Allora dopo tutto non sono messo così male” penso tra me e me.
Spesso però quando sali una via lunga funziona come in tanti altri ambiti della vita: quando ti senti forte e sulla cresta dell’onda, ecco che ti arriva la mazzata. E così parto convinto sul tiro di 8a+, forte del mio precedente successo e…sbam! Mi sembra molto molto più duro del tiro precedente e riesco a malapena a fare i singoli movimenti tra un chiodo e l’altro, gli ultimi inoltre mi sembrano davvero duri. Il che è piuttosto scoraggiante per un tiro di resistenza in strapiombo e diventa ancor più scoraggiante quando parti da una sosta completamente appesa nel vuoto e non hai con te una portaledge o per lo meno un seggiolino per riposare in modo adeguato tra un tentativo e l’altro. Con il morale un po’ a terra e per questo ultimo motivo, optiamo per terminare lì la giornata, con un ritorno al rifugio anticipato e una zuppa calda, pensando che domani è un altro giorno e visto che alla fine oggi non ho fatto tanti tiri magari sarò più riposato.
El Pilar del Cantabrico giorno 2. Risaliamo la corda per arrivare alla fine del secondo tiro. Abbiamo optato per questa tattica, dove al posto di dormire in parete, torniamo la sera al rifugio (essendo a 10 minuti di distanza). Non è certo il miglior stile, ma prima di partire mi sembrava il più comodo, vista la situazione. In realtà a posteriori, avere avuto una portaledge e per rimanere in parete avrebbe offerto l’indubbio vantaggio di poter riposare tra un tiro e l’altro (fino al nono tiro le soste sono TUTTE appese) ma tuttavia non l’abbiamo e quindi continueremo con questo strano stile “big wall” con pernottamento al rifugio.
Scaldarsi su un tiro di 8a+ in strapiombo è compito arduo (almeno per me) tuttavia per lo meno le sensazioni sono migliori del giorno prima…Il tiro mi sembra molto duro ma i singoli passi non ho problemi a farli.
Per quanto sia un’estrema scocciatura, mi prendo 20 minuti di pausa appeso in sosta prima di effettuare un tentativo. So che sarà probabilmente il primo vero ed anche l’unico tentativo perché per la povera Arianna dover attendere un altro giro in quella sosta sarebbe veramente impossibile (fidatevi, sei completamente appeso e sui piedi non scarichi nulla). All’inizio scalo leggero, poi inizio a lottare sulle prese. Per fortuna ci sono un paio di punti in cui riesco anche a sghisare e tenendo duro al limite delle mie possibilità porto la corda in catena senza mai appendermi!!!
Wow! Ancora un tiro di 7c+ sulla relazione poi il resto dovrebbe trattarsi di “ordinaria amministrazione” su gradi intorno al 7a fino in cima. Dopo un primo giro di perlustrazione il 7c+ si lascia addomesticare senza grandi intoppi, anche se quando raggiungo la sosta mi rendo conto che le mie braccia iniziano veramente ad accusare la stanchezza.
Tuttavia il morale è alto e la strada sembra spianata verso la vetta, per cui decido di concedermi un altro tiro prima di terminare la giornata. Un tiro sulla carta di 7a+, ma che si rivelerà a posteriori come uno dei tiri chiave dell’intera salita. Parto deciso per un tentativo a vista ma tutta la mia decisione comincia a vacillare quando mi trovo davanti una fila di tasselli senza la piastrina! Ero preparato a questa possibilità e mi ero infatti fatto prestare da un amico delle piastrine da metterci sopra, ma ovviamente il tutto diventa estremamente complicato se devi montare una piastrina su un tassello mentre stai scalando e magari con una mano che stringe una piccola goccia tagliente ed i piedi in aderenza. Inoltre, con mia grande sorpresa, dopo innumerevoli sforzi e tentativi vani mi accorgo che la piastrina che ho non entra nel tassello in questione. Stremato dalle continue prove, decido di appendermi e proseguire per il resto del tiro in artificiale, facendo passare il cavo del nut attorno alla piastrina.
Quando raggiungo la sosta alla fine del tiro è passata più di un’ora dal momento della mia partenza, in totale ho contato ben 9 tasselli senza piastrina disseminati in questi 40 metri di calcare compatto, dove il grado di 7a+ mi è parso un’utopia che ha in breve lasciato il posto ad un più realistico A2.
Fissiamo le nostre due corde di arrampicata e decidiamo di terminare qui la giornata e andare a rifocillarci al rifugio “Vega de Uriellu”, pensando ancora una volta che per fortuna domani è un altro giorno.
El pilar del Cantabrico giorno 3.
La giornata inizia con 4 campate di corde da jumarare nel vuoto. Un buon riscaldamento e nulla di difficile se si hanno ben chiare le manovre da fare, ma meglio non sbagliarsi perché lo strapiombo non è la placca e quando ti stacchi dalla sosta parti dalla parete per 20 metri; eventuali errori (che per fortuna non facciamo) rischi di pagarli.
“Oggi ho proprio le braccia a pezzi” penso tra me e me, ma trovo comunque la voglia di ripartire su i 40 terribili metri del giorno precedente. A differenza di ieri, oggi ho il tiro “montato” e so dove andare.
Metro dopo metro arrivo alla sezione chiave e non sono proprio tranquillo quando mi trovo a moschettonare 4 cavetti di nut strozzati sui tasselli da 8mm di fila, però in qualche modo me la gestisco sui piedi e dopo un po’ di tentennamenti raggiungo anche qui la sosta. “Questo era un 7b+ duro” penso tra me e me, ma forse il mio giudizio è anche un po’ dovuto alla stanchezza accumulata nei due giorni precedenti.
questa prima vista al Naranjo. Il “pilar del cantabrico” mi ha fatto vivere emozioni forti ed intense, metro dopo metro, tiro dopo tiro. Devo ringraziare Arianna che mi ha seguito in questa salita, sopportando le torture delle soste appese e le aeree risalite a jumar, in cambio di qualche manciata di metri di scalata fantastica su gocce taglienti.
Il resto del viaggio adesso può essere davvero falesia, tapas e cerveza!