di Giacomo Mauri
Verso metà agosto mi chiama Francesco Ratti, con la proposta che stavo aspettando da tutta l’estate..
La sveglia suona presto e andiamo verso il Pilier d’Angle. All’inizio del canale che porta all’ex Fourche la terminale è troppo alta: adottiamo la vecchia tecnica della piramide umana. Mi tolgo i ramponi e gli salgo sulle spalle, fortunatamente con la piccozza colpisco l’unico punto di neve non marcia, mi tiro su, ora Fra mi spinge i piedi con le mani, altre due spicozzate e ripartiamo veloci…
Alla base del Pilier non possiamo che fissare continuamente il diedro strapiombante del tiro chiave: “la fa quasi pagura”, ma siamo qui per questo..
Arrivati allo scudo parte Fra e veloci superiamo le prime lunghezze. Ora tocca a me, il tiro è bagnato, l’umore crolla, poi quasi per magia scovo una serie di piedi “mellici”: mi sento a casa e arrivo mezzo bagnato in sosta, sotto il famoso diedro strapiombante. Parto intimorito, le prese sono bagnaticce ma buone, mi risuona in testa la canzone “.. it’s my life, it’s now or never..” entro nel ritmo e arrivo in sosta senza commettere errori. Tocca di nuovo a Fra, che velocemente ci porta sotto l’ultimo tetto e tiro duro. La parete è in ombra e le mani mezze ghiacciate, ma ci credo come non mai e tutto fila liscio di nuovo. Un bel sospiro di sollievo. Continuo per l’ultimo tiro e finalmente possiamo dire di avercela fatta.
Proseguiamo lungo il terreno di misto fino alla cima del Pilier. Ceniamo e proviamo a dormire. Non abbiamo portato i sacchi a pelo per essere più leggeri, dopo poche ore abbiamo troppo freddo e decidiamo di ripartire. Ci alterniamo a battere traccia sulla cresta di Peuterey che porta al Monte Bianco di Courmayeur e da lì accompagnati da un vento gelido arriviamo in cima. Wow, Divine Providence è andata!