Difficile d’accettare….ho questa sensazione di non vero, e un nodo alla gola….metto le cuffie e ascolto il tuo straziante cd :”Louise Attaque”. ….”Pour toi!”mi hai detto col tuo dolce sorriso, ti sei scusato perché era senza custodia…sarà rimasta stritolata tra i sedili e la polvere del tuo vecchio Kangoo, me l’hai lasciato come ricordo dopo quegli intensi,indimenticabili giorni nel tuo Verdon….ah,ah come occorresse quel cd che hai consumato guidando come un folle su e giù per le creste…Patrick,fa schifo il tuo cd!!!…eppure ora diverrà per me il più caro… Mancherai Patrick,mancherai tantissimo a tutti noi, e mancherà “qualcosa” di speciale alle generazioni che verranno se non avranno la fortuna di “sapere di te”,del talento, dell’uomo speciale che sei stato….
Ho avuto il privilegio di incontrarti,di conoscerti almeno un po’: quell’infinita passione con cui hai amato, esplorato e reinventato l’arrampicata, vibrava carica di emozioni in ogni tuo racconto…racconti fatti di scalate, ma anche di profonda amicizia,di idee in cui credere, e di ideali invece non condivisi, di competizione, eppur mai mancava rispetto e lealtà; racconti di una vita spesso spinta “oltre”, ma tu non la vivevi come tale…era la TUA vita,quella di un uomo libero e consapevole; e poi la passione per la pesca; e la gioia più grande, l’amore per tua figlia. …Si stava delle ore incantati ad ascoltarti!
Ho avuto il privilegio di vederti scalzo e sicuro passeggiare sulle cenge del Verdon(non ci stavo dentro!! mi venivano le vertigini solo a guardarti!), e poi di legarmi con te su quella splendida,assolatissima,infinita “marches du temps”: guardarti mentre elegante e leggero accarezzi la roccia,ci alterniamo,il calcare grigio è perfetto,non sento caldo,non sento la sete, nè la fatica… solo quella meravigliosa e adrenalinica sensazione di pace e d’infinito tutt’intorno a noi: Tu il “re del tranquillo”,sorriso dolce e rassicurante, ed io che in nessun’ altro posto che lì avrei voluto essere….
Ho avuto il privilegio di sentirti amico: il mio francese è pessimo e il tuo italiano scarso,eppure ci si raccontava mentre l’altro attento ascoltava, e quante volte mi hai detto “la vita è qui e ora,non scendere a compromessi,VIVI: è la tua vita!”… La tua premurosa gentilezza era disarmante,come disarmante era la tua acqua di colonia con cui firmavi ogni incontro in abiti civili,ci faceva sorridere questa tua cosa, eppure ora non so che darei per poter sentire ancora quel profumo e ancora una volta poterti riabbracciare!!
…. Patrick ci hai donato molto e avevi ancora tanto da regalarci, e sono certa, avevi ancora progetti in cui credere e da realizzare… il destino ti ha voluto portare via,difficile d’accettare..ma il tuo ricordo continuerà a vivere e a scaldare i cuori di migliaia di appassionati,e tanta sarà la roccia che vedrà gli intimi sorrisi dei molti che vorranno dedicarti piccole o grandi imprese…sarà il nostro grazie Patrick.
Tornerò in Verdon, e verrò per trovare te, ti troverò in ogni via, e non solo..
…sarai ovunque,libero e felice…
GRAZIE PATRICK, ti vogliamo bene!!
Giovanna Pozzoli
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Avevo 18 anni, e me ne mancavano una quindicina a scalare, o giù di lì. Ero andato da mia madre, dal parrucchiere, e per passare il tempo stavo sfogliando una rivista che poteva essere Oggi o Gente, insomma, quelle riviste lì.
Ad un certo punto saltai sulla sedia perché c’era una doppia pagina con un seno sbattuto in faccia al lettore, e una fluente chioma bionda. Caspita, mi dissi, guarda un po’ come sono avanti queste riviste…neanche Playboy…poi, riavutomi dalla sorpresa, la foto mi apparve al suo completo. Era un tipo che a petto nudo stava bloccando a 90° su un cordino, con un solo dito, e il suo pettorale era in piena esplosione. Le pagine dopo parlavano di questo atleta, di un film che stava sconvolgendo la Francia, etc, etc. Pochi mesi dopo, un programma chiamato Odeon ne fece uno speciale. Sarebbero passati anni prima di incontrarlo, ma quella foto a doppia pagina mi rimase impressa a lungo. Che roba fanno questi che scalano, mi dissi. Il confronto con me stesso era impietoso, sapete, giocavo a Ping pong e un po’ a calcio…e stavo iscrivendomi ad Ingegneria nucleare…buonanotte! Ma anche atleti di altri sport non ne uscivano bene, dal confronto. Tenersi su un dito? Mi sembrava fantascienza…all’epoca si poteva credere a tutto, Photoshop non ci aveva invaso e dunque, quel biondo aveva davvero una forza sovrumana. E le foto successive lo mostravano in spaccate frontali e sagittali, una sorta di Nureyev sulla roccia. Quando, pochi anni dopo, ci fu la famosa trasmissione su Manolo che scalava sui campanili e sui monumenti, con movimenti di scioltezza da ballerina della scala, mi dissi convinto: perbacco, chi arrampica deve proprio essere un fenomeno di forza e scioltezza.
Oggi che scalo, spesso e volentieri, so che Edlinger era un prototipo, un modello, una di quelle macchine che mostrano in unico esemplare ai saloni dell’automobile. Forse poi ne producono qualcuna, ma per Dubai e chissà quale altro posto. Noi umani andiamo in automobile, punto. Noi qualche volta spegnamo il cervello e SIAMO delle auto, in fondo. Abbiamo un motore, e ci muoviamo con marce, frizione, e freno. Molti freni, qualche accellerata. Patrick aveva un cervello, eccome, e aveva sempre accelerato, come l’altro Patrick, come quelli del suo stampo. Anche oggi ci sono (per carità, non approfittiamo della morte di Edlinger per sentenze retoriche su oggi non è più così, ai miei tempi, etc.), e li applaudiamo. Edlinger fu tra i primi, il più famoso, il più icona. Uno da poster. Mia madre mi ha telefonato e mi ha detto che “’è morto quello del poster”, perché sì, mi ero dimenticato, ma c’era un angolo dove misi il poster di Edlinger accanto a quello di Adrian Vandenberg e Randy Rhoads. Erano biondi, tutti e tre, capelli lisci, lunghi e biondi…io li avevo lunghi ma neri e aggrovigliati. Erano degli esempi. Di libertà. Cercate di capirmi, io stavo per infilarmi in 5 anni di Ingegneria, formule e teoremi, avrei corso per voti e conoscenze, ma sarei davvero stato poco libero. Studiavo più di dieci ore al giorno, ogni tanto sparavo musica a 70 db, e qualche secondo al giorno guardavo i poster. Io che non sapevo nulla d arrampicata, ero rimasto folgorato da una posa. Da una figura. Perché, oggi lo so, le figure dell’arrampicata, quando interpretate da tipi come Edlinger, sono sensazionali. Oggi ho altri miti, scrittori soprattutto, ma anche qualche sportivo, ancora. E sono ragazzi che è grandioso che ci siano.
Lo intervistai per Uomini&Pareti, mi rispose in francese e registrai tutto. Mia moglie tradusse l’intervista. La sua voce gentile, quasi effeminata, era stata l’eco della voce dell’altro Patrick, Berhault, con il quale aveva rivoluzionato la scalata in Francia prima e nel mondo poi. Con Moffat, Manolo, Gullich e Berhault”, Edlinger era stato uno dei cinque cardini dell’esplosione del free climbing agli inizi degli anni ’80. E più di tutti aveva contribuito alla diffusione mediatica dell’arrampicata grazie al film che lo ritraeva in Verdon, film che lo consacrò sportivo dell’anno in Francia davanti a Prost e Platini (!). Era uno scalatore elegantissimo, in questo molto simile a Manolo per la bellezza del gesto.
E’ stata una delle figure di cui vantarsi, se capite cosa voglio dire. Come nel nuoto uno si può vantare di praticare lo sport di Phelps o nel mezzofondo di correre come Gebrselassie, così un qualsiasi scalatore, di qualunque livello, può dire, io faccio quello che faceva Edlinger, ed essere orgoglioso. E’ un qualcosa che trascende il livello tecnico personale, il proprio carattere, ed entra in quel mondo nebuloso in cui compaiono i termini idea, archetipo, modello. Sono migliaia i ragazzini che hanno cominciato a scalare dopo aver visto in televisione, tanti anni fa, Patrick. Un ragazzo biondo, dal fisico scultoreo, con gli occhi profondi e acuti, sciolto come in un ideale di movimento tridimensionale, forte come nell’immaginazione di un bambino. Se qualcuno vi dovesse prendere in giro perchè avete degli idoli, sbattetegli in faccia la storia di Edlinger, e guardatelo con disprezzo.