La spedizione alla Cattedrale Grande del Baltoro, organizzata nel 1975 dal Cai Belledo (sottosezione del Cai Lecco) fu un momento importante per l’alpinismo lecchese e del Gruppo Ragni, la cui reale portata forse non è stata a tutt’oggi adeguatamente valorizzata.
Per darle il giusto rilievo storico e sportivo occorre innanzitutto collocare la spedizione nel contesto di quegli anni e per farlo è già sufficiente ricordare che, in quello stesso 1975, si svolse l’ultima spedizione nazionale del Cai, diretta alla parete Sud del Lhotse, nella quale i lecchesi giocarono un ruolo di prim’ordine, schierando un compendio dei propri nomi più illustri (a cominciare da Cassin capospedizione) accanto agli astri più brillanti del firmamento alpinistico nazionale, da Reinhold Messner a Sandro Gogna.
La spedizione al Lhotse rappresenta in modo emblematico i sogni e le ambizioni degli alpinisti affermati dell’epoca, per i quali gli obiettivi che contano in Himalaya e Karakorum stavano prima di tutto sulle cime al di sopra degli 8000 metri quota (e la Sud del Lhotse era sicuramente uno dei più grandiosi e visionari fra quegli obiettivi).
Già da questo confronto la spedizione alla Cattedrale Grande del Baltoro rivela qualcosa di originale e inedito: per la prima volta le grandi muraglie di granito non sono più viste come una delle meravigliose quinte che abbelliscono il trekking di avvicinamento ai colossi del Karakorum, ma come un oggetto di desiderio alpinistico a sé stante. Per l’alpinismo anglosassone questa nuova visione era ormai già da anni cosa acquisita, ma nel panorama italiano questa è probabilmente la prima affermazione del nuovo modo di pensare e praticare l’alpinismo sulle grandi montagne dell’Asia.
Non è un caso che i nomi dei componenti di questa spedizione siano quelli dei nuovi talenti che proprio in quegli anni stanno dando forma al loro stile e al loro modo di vivere la scalata. Accanto al capo spedizione Giulio Fiocchi, infatti, ci sono tanti giovani come Alberto Sironi, Giuseppe Lafranconi, Ernesto Panzeri, Gianluigi Lanfranchi, Carlo Duchini, Amabile Valsecchi, Daniele Chiappa, Pierino Maccarinelli, Benvenuto Laritti, Sergio Panzeri, Giacomo Stefani e il torinese Arnaldo Colombari.
Non è casuale neppure la loro “provenienza”: quasi tutti orbitano attorno alla piccola sottosezione di Belledo, che in soli 15 anni di attività è diventata uno straordinario catalizzatore delle nuove energie e nuove idee per l’ambiente alpinistico lecchese. Anche il sogno del Cerro Torre, da poco realizzato e divenuto il simbolo dell’eccellenza di tutta la scuola degli scalatori cresciuti all’ombra delle Grigne, aveva preso le mosse proprio da lì, con la spedizione organizzata nel 1970 per celebrare i 10 anni di vita della sottosezione, che vide Casimiro Ferrari arrivare a soli 250 metri dalla vetta.
Sulla Cattedrale del Baltoro non c’è il Miro, ma ci sono i giovani Ragni che la sua dura scuola ha svezzato fra e tempeste del Torre: i Chiappa, i Lafranconi e i Panzeri. E poi c’è il Ben, Benvenuto Laritti, uno dei più forti nella nuova generazione dei Maglioni Rossi, che proprio in quegli anni vive la sua stagione di alpinismo forsennato e per tanti aspetti rivoluzionario.
La spedizione lascia Lecco il 31 maggio e, attorno alla metà di giugno, il gruppo stabilisce il campo base a 3900 metri ai piedi della Cattedrale Grande. Davanti a loro una magnifica parete di granito di granito di 1500 metri di altezza e, sulla sinistra della Cattedrale, una bella cresta che sembra l’itinerario più logico ed elegante verso la punta Thunmo, punto culminante della Cattedrale. Si decide per la salita di quest’ultima linea e il 23 giugno la squadra comincia le operazioni, attrezzando con le fisse la prima parte dello sperone. I nostri giovani si danno da fare mettendo a frutto l’esperienza maturata, soprattutto durante l’assedio al Torre: lavorano duramente in parete divisi in squadre e in quattro giorni salgono 800 metri di cresta con difficoltà di IV e V grado e piazzano il Campo 1.
Il maltempo però costringe tutti a cinque giorni di inattività al campo base, durante i quali c’è tempo per pensare e discutere: qualcuno è ancora convinto che la via migliore di salita sia quella bella muraglia che si alza proprio in faccia al campo base e, in perfetto stile lecchese e ragnesco, siccome il modo migliore per dimostrare di avere ragione è andare, fare e portare a casa il risultato, all’arrivo del bel tempo dalle tende partono due cordate in due direzioni diverse. Una, composta da Laritti, Lafranconi, Lanfranchi e Valsecchi punta a completare la cresta, l’altra, che schiera Chiappa, Maccarinelli, Panzeri, Stefani e Duchini attacca la parete cercando di salire con pochissimo materiale, puntando sulla leggerezza e la velocità.
Entrambi i gruppi affrontano difficoltà tecniche elevate, con diversi tiri difficili in parete (fino al VI e all’A2) e zone di neve marcia, ghiaccio ripido e placche “ostiose” lungo la cresta. Entrambi alla fine raggiungono il loro obiettivo: l’8 luglio Ciapin e compagni raggiungono la fine della parete e il 12 l’altro team supera finalmente l’ultimo metro di cresta che porta in vetta alla punta Thunmo.