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Buona la prima! Patagonia 2024

La Patagonia è terra di arrivederci e non di addio.
Dopo la nostra avventura sulla parete est del cerro Torre nel gennaio del 2022 e l’incidente durante la discesa costato la vita a Korra Pesce avevo sentito qualcosa rompersi definitivamente dentro di me. Una paura latente e una consapevolezza di come tante volte il destino abbia giocato un ruolo importante.
Ho amato il Cerro Torre per avermi regalato insieme ai compagni Matteo Della Bordella e David Bacci la salita più incredibile che avessi mai potuto immaginare. Ma allo stesso tempo i miei sentimenti per quella montagna erano complicati. Avevo detto addio alla Patagonia e in cuor mio anche a un certo tipo di salite.
Un lungo infortunio alla schiena durato tutto il 2023 mi aveva del tutto allontanato dall’ambizione di salire certe montagne. Come fosse qualcosa del mio passato, come una parentesi chiusa. Ma volevo rivedere le queste torri di granito per sentirne ancora l’energia e magari iniziare a curare i miei sentimenti per le stesse.
Ho programmato un veloce viaggio in Patagonia senza nessun progetto chiaro in testa, soltanto quello di star lontanto da pareti come quelle del cerro Torre o dal Fitz Roy.
Durante L’estate ho scalato con Chiara Gusmeroli sulle pareti del Badile. Chiara è valtellinese e ha un entusiasmo fuori dal comune, e un amore sconfinato per le montagne di casa, oltre ad essere una ottima alpinista! Di quelle alpinista lontane dalle mete comuni, che non ha bisogno di guardare le foto su Instagram per avere le idee, le basta una vecchia guida di Bonacossa e con la fantasia riesce a fare tutto il resto. Era la compagna perfetta per ricominciare questo perscorso per muovermi con ritrovata fiducia in montagna, ma ad ogni salita il fardello dell infortunio e della mia paura non mi lasciava mai veramente tranquillo.
Con lei si è iniziato a parlare di quanto sarebbe stato bello arrivare in cima al Fitz Roy.
Quindi ripartire per la Patagonia rappresentava una grossa sfida per me.

Il fitz Roy è sempre stato un sogno grandissimo, la storia dell alpinismo che ha visto i migliori interpreti di ogni periodo storico confrontarsi con le sue pareti ha da sempre creato in me un fascino unico. Ho pianificato questo viaggio ascoltando e leggendo le storie e avventure di altri alpinisti per avere una visione generale di quello che potevo aspettarmi lassù, in funzione a questo abbiamo pianificato i nostri allenamenti e le nostre esperienze in montagna affinché potessero tornarci utili.

Chiara ha raccolto così tante informazioni ancora prima della partenza che in un certo qual modo eravamo riusciti a farci un idea oltremodo realistica di quello che ci aspettava lungo le possibili vie che avremmo potuto salire. Era importante avere tutte le informazioni del caso ma onestamente c’era una parte di me che non le accettava.

Mi sembrava di annullare buona parte di avventura che in realtà è la cosa che vado cercando quando prendo un aereo e volo dall’altra parte del mondo. In realtà è quello che vado cercando quando vado in montagna in generale, non sapere come sarà il prossimo tiro, studiare la linea attraverso un binocolo e non leggendola su una guida.

El chalten è un posto bellissimo! Tutta la comunità di alpinisti ci si ritrova ogni inverno, è grandioso per me trarre ispirazione dai grandi alpinisti che si incontrano per strada, aver condiviso le giornate con vecchi e nuovi amici ha reso tutto quanto più divertente. Ringrazio tutte le persone che han condiviso questo periodo con me e i miei genitori per avermi ancora una volta insegnato a vivere la propria passione contando solo sulle proprie forze.
In fin dei conti Silvano e Mariella son quelli che durante questa stagione han percorso più metri in verticale di qualsiasi altro alpinista a el chalten. Una via alla volta sulle pareti del fondovalle.

Chiara era già a el Chalten da una settimana, non era stata una settimana di bel tempo e io ancora in Engadina a lavorare sapevo che non mi stavo perdendo nessuna finestra.
Aveva tentato la salita al cerro Solo fallendo nel tentativo, c’era troppa neve, questo dettaglio non mi lasciava tranquillissimo per i nostri progetti.
Avevo capito che l’unica via che si sarebbe concessa era la Afanasieff, l’avevo capito già mesi prima in realtà che sarei finito lì ma a distanza di pochi giorni l’evidenza delle condizioni confermava le mie previsioni.
Arrivavo a el Chalten alle 18 e la mattina dopo dovevamo partire per l’avvicinamento, Chiara aveva organizzato tutto in maniera impeccabile prima del mio arrivo a me non restava che preparare lo zaino e andare a dormire qualche ora. Avevo qualche dubbio sulle tempistiche in parete e non ero totalmente certo quale dei 3 bivacchi possibili nella prima metà saremmo riusciti a raggiungere.
Speravo non fossimo troppo lenti da doverci fermare al primo ma non immaginavo saremmo stati talmente veloci da raggiungere il terzo.
L’avvicinamento è lungo ma per nulla complicato, la scalata nella prima metà è sempre semplice e alterna tratti da scalare a tiri a lunghi tratti in conserva. Ci alterniamo al comando e nel tardo pomeriggio arriviamo all ultima piazzola da bivacco.
Siamo un po’ stanchi della levataccia e andiamo velocemente a dormire per recuperare energie importanti per la giornata successiva.

Ricominciamo a scalare l indomani su una placconata bellissima, circa 10 tiri di arrampicata straordinaria in placca e fessura, una via nella via che varrebbe di per sé una visita in Patagonia, ma nel nostro caso è soltanto una breve porzione dell immensa parete che abbiamo deciso di scalare. Ad eccezione del primo tiro, dove probabilmente sbaglio la linea, i restanti sono facili e piacevoli da scalare, dimentico di essere lì e mi godo ogni movimento nonostante il peso dello zaino. Proseguiamo per una sezione di parete complicata, alterniamo tiri con i ramponi a tiri in scarpette e poi di nuovo in conserva.
Mi piace il feeling di cordata che ho con Chiara, ripenso alle salite della scorsa estate e gli allenamenti mirati su differenti terreni che ci han portato fin qua, funzioniamo a meraviglia e continuiamo a salire veloci. Dopo un ultimo tiro decidiamo di continuare in conserva fino alla cima. Io son stufo e decido che è il momento di andare via veloci.
Sottovaluto la stanchezza della mia compagna che di colpo sente la pressione di una salita così lunga, dellìessere isolata e lontana da qualsiasi tipo di soccorso o aiuto.
Mi chiede di rallentare il ritmo per muoverci in sicurezza, un po’ sono spazientito ma è una richiesta quanto mai razionale, rallentiamo e lascio che sia lei a continuare con il ritmo che desidera fino alla cima.

Una salita la si fa insieme ma ho pensato dovesse essere lei a raggiungere la cumbre per prima. Se lo era meritato ben più di me! La raggiungo e sulla cima scattiamo qualche foto e ci abbracciamo.
È un momento scarico di ogni pensiero avvolto in un tramonto di fuoco che solo la Patagonia sa regalare, assoluta libertà! poi tutto torna immediatamente turbolento e ci si organizza per la notte e i pensieri della discesa tornano ad essere la prima preoccupazione.

La mattina seguente scendiamo senza alcun problema. Ancora una volta tutte le informazioni recuperate ci danno un vantaggio incredibile, posso buttare le doppie per 60 metri nel vuoto, chiudere gli occhi e sapere che la prossima sosta è 8 metri a destra. È bello sia così ma è quasi troppo facile. Può sembrare stupido ma non sento l avventura come non l ho sentita davvero nella salita, è un sentimento strano che non riesco veramente a comprendere.
L’unica doppia che mi ricordo è la prima perché l ho fatta girando una fettuccia su uno spuntone e ho iniziato a calarmi senza esserne certo, era ovvio stessi andando nella direzione giusta, ma è comunque stato più emozionante delle altre che si son rivelate un noioso leggere la relazione fino alla prossima sosta. Ma è andato tutto bene e questo è l’importante, nonostante abbiamo perso una corda e mezza.
Sul ghiacciaio ho sentito la stanchezza di colpo arrivare con tutta la sua violenza direttamente nel cervello, un mal di testa assordante ha accompagnato le prime ore di cammino verso valle.

Ho un rimpianto legato a quel momento. Avevamo pensato che sarebbe stato interessante salire anche la Poicenot durante questa finestra ma arrivati sul ghiacciaio eravamo troppo stanchi, ovviamente soddisfatti e incerti sul meteo del giorno successivo che non abbiamo veramente valutato di portare a termine il nostro progetto. ma con il senno del poi avremmo avuto tempo ed energia a sufficienza per completare questo piccolo concatenamento.

È stata la mia prima volta sul fitz Roy con la persona che mi ha aiutato a superare il mio infortunio alla schiena curandomi nell unico modo possibile. Portandomi in montagna. È qualcosa di speciale che porterò per sempre nel cuore, mi serviva davvero una salita di questo tipo, qualcosa di semplice ma grandioso, per ricominciare a credere in me stesso e in progetti più grandi
Sono andato via da el chalten con un sentimento diverso rispetto all ultima volta. Positivo! L’energia della gente in paese è stato un abbraccio fortissimo e mi ha fatto sentire a casa. Non vedo l’ora di tornarci

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