BASTON LA BAFFE PER DELLA BORDELLA – PALMA
Durante i primi giorni di Agosto Fabio Palma e Matteo Della Bordella sono riusciti nella ripetizione di “Baston la Baffe”, la via tracciata dai fratelli Zambetti e da Denis Burdet sullo Scheideggwettwerhorn, una parete poco conosciuta ma che non ha niente da invidiare alla sua vicina, la famosa parete nord dell’Eiger. E anche qui si tratta di una parete nord, con tutte le complicazioni del caso, ( 34 tiri. Come è più o meno noto, sopra i dieci tiri si entra in un’altra ottica, sopra i 20 in un altro mondo, sopra i 30 si esce distrutti) a partire dal freddo che è stato compagno di Matteo e Fabio durante la seconda parte della salita, come testimoniato dalle parole di Fabio.
[new_royalslider id=”57″]
Due notti di bivacco le mettevo in conto (a dir la verità pensavo in un bivacco accettabile, ma la strategia di fermarsi a L18 è stata giusta, dal bivacco ufficiale a L12 il secondo giorno non saremmo mai arrivati in cima), una terza forse peggiore nel letto di casa proprio no! Ho il braccio destro formicolante e intirizzito, della serie non provarci mai più! Niente da fare, adesso me lo scrivo proprio sul muro di casa, non andare mai più a scalare su una Nord con lo zero termico sotto i 4500.
Perchè su Baston La Baffe bisogna scalare, non basta salire. Tratti lunghi e obbligati, niente sconti, roccia in tantissime lunghezze veramente agghiacciante ( stracomplimenti agli apritori, azzardare certi run-out su certa roccia e su difficoltà sul 6c…giù il cappello!!) e tre muri fantastici in mezzo. Il freddo che ho patito nel terzultimo tiro, scalando con cinque strati tra cui piumino e guscio proshell (!), non lo dimenticherò mai più! Grazie Matteo per la superba dimostrazione di forza, con un freddo così di solito non si va neppure in falesia. Era stremato anche lui, alla fine, il che è tutto dire. E poi, il famoso sole che doveva arrivare alle 15.00 è che è uscito soltanto il secondo giorno per dieci minuti mentre facevamo la foto di vetta, è stata la beffa totale. Vedermi l’ombra e lo sfondo di roccia illuminata mentre guardo Matteo…ma quando mai. Mi sono detto, giuro che questa Estate non mi lamenterò del caldo neppure se dovessi capitare in coda chilometrica con l’aria condizionata rotta…
I fratelli Zambetti mi hanno stupito: ci vuole cuore per aprire una via così, una fatica bestiale, e nonostante questo la via non è certo una serie di chiodi o spit, tanto per arrivare in cima! La via è sempre seria, sempre impegnativa, fino all’ultimo tiro. Wild Hard Long Free a lettere cubitali. E’ stato un onore vedere dal vivo che via hanno aperto su questo mostro, chissà quanti anni ci vorranno per mettere in chiaro le cose su vie e vie. La loro creazione è un bel punto esclamativo e di riferimento!!
Ci hanno messo anni, avrebbero potuto impiegarci un decimo del tempo piantando spit ogni tre metri e invece…hanno rischiato e spinto sempre e comunque.
La parete è incredibile, ci starebbero altre linee magnifiche e quei tre strati di falesia larghi oltre centro metri e alti 60 farebbero la gioia di ogni arrampicatore sportivo. Ma il freddo e il resto della roccia mi fanno dire, d’ora in avanti lo Scheideggwetterhorn solo in fotografia!
Il racconto di Matteo:
La prima volta che sento parlare di Scheideggwetterhorn è all’incirca 10 anni fa, quando mi imbatto, leggendo il libro “100 scalate estreme” di Walter Pause, in una via di Max Niedermann del 1954. Di questa parete poi non ne sento più parlare per qualche anno finchè conosco Nicolas Zambetti e tramite il suo sito vengo a conoscenza della sua grande creazione su questa parete “Baston la baffe”. La mia compresione del francese è abbastanza scarsa, ma le foto e le parole di Nico trasmettono emozioni ed avventura; resto affascinato dai suoi racconti, dai nomi di tiri come “Mur de ceuse”, “Fissure baston”, Gypaete Barbù”, “Splasch” e dalle foto mozzafiato e mi riprometto di andarci su questa parete.
Ogni tanto, quasi casualmente riapro il sito di Nicolas, per vedere come sta e cosa combina. Nico è una guida alpina della Svizzera francese, sempre attivo e capace di conciliare attività alpinistica personale, con il lavoro di guida e la famiglia, un personaggio che ho incontrato un po’ di volte sulle pareti del Wenden e che ho avuto modo di intervistare all’interno della mia guida “Arrampicare in Svizzera”. Quando riapro il sito di Nico non posso fare a meno di dare una sbirciata alle foto di “Baston la baffe”. Rimango sempre molto colpito dalla “fissure baston”, 60 metri di spaccatura che incidono il cuore dello Scheideggwetterhorn!
E così, agosto 2012, finalmente arriva il periodo di bel tempo tanto desiderato e con lui arrivare anche l’ora di tentare Baston la baffe!
Come ogni vera big-wall degna di tale nome, una buona logistica e un efficace piano di attacco sono fondamentali. Con 34 tiri di corda da percorrere le capacità tecniche e la resistenza fisica sono una parte del gioco, ma grande importanza ricoprono anche le scelte tecniche sul materiale da portare, numero di giorni e stile con cui affrontare la salita.
Forse con un po’ troppo ambizione propongo a Fabio di tentare la via in 2 giorni di arrampicata, invece dei 3 consigliati, con un secondo bivacco durante l’infinita discesa in doppia. Siamo stati molto veloci su vie intorno a 20 tiri, ma questa è un’altra storia. Viste le numerose cenge poi optiamo per suddividere il peso in due sacchi Kong di dimensioni medie (40 Lt) piuttosto che portare un unico saccone più grande; questo per facilitare la progressione sui tiri facili o i trasferimenti dove l’idea è quella di scalare entrambi con il sacco in spalla oppure recuperare un sacco solo, insomma con due “kong genius” dovremmo essere più flessibili che con un unico BD grosso…E infatti da questo punto di vista la tattica si rivelerà vincente! Il resto del nostro materiale è poi costituito da 2 serie complete di friends, 2 mezze corde + cordino da recupero, 12 litri di acqua, sacchi a pelo, jetboil e buste travel lunch per i pasti.
I sacchi sono subito pesanti e stracolmi ma l’avvicinamento è breve e i primi tiri sono appoggiati. La nostra logistica è vincente e i primi tiri passano veloci. La prima parte della parete alterna tiri su placche appoggiate a muri e tiri più impegnativi che richiedono già una buona lettura e decisione. A metà pomeriggio siamo al comodo bivacco di L12, ma decidiamo di proseguire: scrutando la parete da sotto infatti, penso, ma non ne sono sicuro che ci sia la possibilità di bivaccare anche a L18. Così, dopo qualche altro tiro di trasferimento siamo alla base del “Muro di Ceuse”. Un muro leggermente strapiombante lungo 70 metri che gli apritori hanno così chiamato per i numerosi buchi di forme e dimensioni che ricordano la celebre falesia francese.
ll muro è suddiviso in due lunghezze: 7a+ e 7b+. Fabio parte per la prima e io la percorro da secondo e capisco già che questi buchi davvero particolari: a differenza dei buchi di Ceuse o dei normali buchi di calcare questi hanno tutti la caratteristica di avere un bordo basso estremamente svaso ed intenibile ed un bordo rovescio alto molto netto e buono, un po’ come i tafoni del granito corso.
Parto per il 7b+ che si rivela difficile già dall’inizio, la costante è buoni riposi su buchi rovesci inframezzati da passaggi infami su piatti e tacchette. Ad ogni spit penso di cadere, ma con mia sorpresa vado avanti. Il tiro si fa più difficile ed i riposi spariscono. Arrivo ad un buco svaso dove penso che la mia corsa sia finita ma trovo un provvidenziale incastro di pugno, che anche se molto svaso mi da modo di riprendermi, e qui il tiro sembra farsi ancora più duro e difficile da leggere. Tento un traverso verso destra e nonostante gli svasi non so bene come sto su. Mi ristabilisco e penso che il tiro sia finito, lo so spit è ormai due metri sotto i piedi e quasi mollo le mani. Mi rilasso un attimo, ma capisco in fretta che non sono affatto fuori dal tiro…Anzi! Mi aspetta un passo di piedi e decisione molto precario…Ci metto una decina di minuti a decidermi e dopo aver pensato “beh se Nicolas è salito di qua, ci saranno poi le prese e starò su pure io…” vado. Le prese sono svase e non mi sento esattamente solido, ma anche qui non saprei bene dire come, mi tiro fuori…hats off!!! Che passo…il chiave di tutta la via secondo me. Una onsight fortunata ed inaspettata che aldilà del grado mi ha dato davvero molta soddisfazione!
Arriviamo alle 19 al bivacco alla fine della diciottesima lunghezza. Il bivacco non è comodissimo…siamo ben distanti dal lusso del nostro “bivacco – bivacco” al Wenden, ma anche distanti dai bivacchi lozzi patagonici. Diciamo che non ci si può lamentare troppo!
Il giorno successivo ci svegliamo alle 6 ed alle 7 siamo pronti a partire. La temperatura è glaciale, il freddo penetra dalle mani e dai piedi fino al corpo, ma si parte! Dopo un semi-riscaldamento su un 6b, veniamo ad un fantastico muro compatto. Ci aspetta “full gaz” un 7b+ di una quindicina di metri dall’aspetto severo. Qui purtroppo il mio tentativo a vista dura poco, senza un’informazione che qui non svelerò, si tratta di un tiro molto difficile da leggere. Proseguiamo e dopo il 5c chiamato “canyoning” giungo in vista della mitica “fissure baston”.Questa fessura è la linea attorno alla quale ruota tutta la via, un tiro che come dice il mio socio “vale una stagione” – non per il grado numerico si intende ma per linea ed estetica – tutta la prima parte della fessura è bagnata ma non mi faccio intimorire: è da quando abbiamo deciso di fare questa via che sogno di salire a vista questo tiro!
Mi carico addosso 2 serie di friends e parto. La prima parte mi da qualche noia per via del bagnato e dopo una ventina di metri arrivo in vista del chiave. Purtroppo qui la fessura è fradicia e dentro di me penso che le mia chances di libera siano davvero basse, ma…tanto vale tentare! La fessura è piuttosto svasata e dato che anche i bordi sono bagnati scelgo di tentare con la tecnica di incastro. Metto la mia mano, già di per sé gelida e provo a gonfiare il dorso nella fessura bagnata. Una sensazione bruttissima, ma la mano non scivola via. E così metti anche i piedi sempre torcendoli nel bagnato, intanto ancora qualche incastro di mano un po’ alla cieca, e non rendendomi bene nemmeno conto del come mi ritroovo due metri più su dove la fessura è adesso tutta asciutta. Ma non è per nulla finita! Davanti a me ci sono ancora 40 metri di fessura perfetta, le mie mani sono insensibili dal freddo e devo fare attenzione a gestire la serie di friend. Pian piano, incastro dopo incastro, come vuole la progressione del buon fessurista, mi faccio strada. Senza fretta, con scalata faticosa ma efficace dopo forse un’ora di lotta arriva alla sosta. Ho le mani devastate e il fisico provato, in fin dei conti ho fatto solo un 7b, ma dannazione, ancora una volta mi ha dato mille volte di più un tiro così che tanti altri di grado superiore!
Fabio sale velocissimo con grande tecnica dulfer e un freddo polare, mi stupisce davvero, arriva e dice, se non salgo così veloce, con questo freddo non riusciremmo a ripartire. Ci avrà messo 3 minuti per tutto il tiro…
Ancora un tiro di trasferimento ed arriviamo al “gipeto barbuto” 7c, descritto come il tiro chiave della via. La roccia qui non è eccelsa, non si può dire che questo sia un tiro di pari bellezza dei precedenti. Parto a mani ghiacciate e ancora una volta mi faccio strada verso l’alto. Ancora una volta con grande sorpresa arrivo all’ultimo spit dopo aver già rischiato di cadere in mille punti. Le mani però adesso sono insensibili, provo comunque a giocarmi le mie carte, ma qui mi va male, l’ultimo passo del tiro mi respinge proprio quando pensavo fosse fatta.
Siamo in vista del “pilier brun” e delle lunghezze finali. La stanchezza fisica però comincia a farsi sentire e il freddo non molla, anzi, per la prima volta dopo la Patagonia scalo con 3 capi + la giacca in Primaloft addosso!
Davanti a me “intifada” un 6a+, il cui nome penso derivi dal fatto che mentre lo scali stacchi parecchi sassi e li tiri in testa al compagno. Ancora un 6c scabroso su lame instabili e siamo davanti a “Splasch”, un 7a+ dall’aspetto abbastanza inquietante, il primo spit non si vede, ma stando alla relazione è a 20 metri. Per la seconda volta mi carico le due serie di friends e parto. La prima parte del tiro non è difficile e riesco a proteggerla bene, giro lo spigolo ed aggancio il primo spit. Nel frattempo la stanchezza fisica e il freddo mi fanno cambiare modalità di approccio alla via e passo da “provo a fare tutto a vista” a “penso solo a ragliarmi su più velocemente possibile”. Per raggiungere il secondo spit di “splasch” già mi devo impegnare e da lì in avanti “mollo gli ormeggi” ed inizio a fermarmi sistematicamente sui friend o gli spit per riposare prima di ripartire. Ragazzi, sarà solo un 7a+, ma la catena te la devi guadagnare e io sono praticamente k.o.
Fabio mi raggiunge in sosta. Sono indeciso se partire per il tiro successivo “Al quaida” 7b+. Si propone lui di tirare da primo ma perderemmo qualche minuto per la sua svestizione…
Mi sono rimaste poche energie e se il tiro è ingaggioso come “Splasch” ma su un grado più duro, valutando in modo oggettivo la situazione, rischierei di farmi del male cadendo. Parto non troppo convinto, sempre con una temperatura ed un aria fredda per me veramente pesante. Non sto nemmeno a pensare alla libera e come dice l’amico Franz “tiro quello che c’è da tirare…” e raggiungo la sosta. In fin dei conti mi è sembrato un tiro molto meno stressante ed impegnativo di “Splasch”. Gli ultimi due tiri di 6c, sembrano una formalità ma vanno saliti e in queste condizioni sono comunque impegnativi. Arriviamo in cima alla via, dopo 34 tiri di arrampicata, dove, come per scherzo il vento gelido smette di soffiare e il sole ci illumina e riscalda.
Finalmente un po’ di pace in una giornata così tormentata.
Scopriamo di aver effettuato la seconda ripetizione dopo i Francesi Sebastien Ratel e Dimity Munoz.
Qualche foto e ci godiamo solo brevemente questo tepore, sono le 19 e dobbiamo fare 12 doppie per arrivare al bivacco. In meno di due ore siamo nuovamente alla sosta del diciottesimo tiro. Questa volta la stanchezza mi fa sembrare il bivacco molto meno comodo della notte precedente.
Scendiamo con calma il giorno successivo.
Non ho scalato tutta la via in libera, quindi diciamo che ho fallito l’obiettivo che mi ero prefissato. Ma non importa, arrampicatori più forti di me, faranno sicuramente meglio, io sono comunque super soddisfatto. Una grande via, una grande parete e dei tiri da sogno! Per arrivare in cima stavolta i denti li ho dovuti proprio stringere…
Come dicono i francesi A+
Complimenti Nicolas e Julien Zambetti e Denis Burdet! Hats off!
Siete da esempio per tutti noi scalatori della domenica. Bellissimo racconto, e che parete. Vi ho ammirati anche nel film Infinite Jest e anche i vostri film sono speciali, raccontano di voi prima che delle imprese e Uli Biaho è il film più vero che abbia mai visto. Avanti ragni continuate a darci esempio di grande alpinismo e purezza di spirito