di Matteo De Zaiacomo
Ognuno di noi ha un cassetto dei sogni, il mio è straripante di immagini di pareti disseminate in tutto il mondo. Ogni tanto mi capita di tirare fuori una di quelle immagini, appenderla al muro e iniziare il percorso per trasformare un sogno in un obbiettivo.
La Nangma valley è stato questo, un’idea parcheggiata per anni in attesa del momento giusto. Con Chiara ho scalato parecchio nell’ultimo anno e dopo l’esperienza in Patagonia che ci ha portato in cima al Fitz Roy avevamo l’impressione che la nostra cordata fosse pronta ad affrontare una spedizione vera e propria.
Siamo partiti il 4 agosto, avevamo qualche dubbio fosse troppo tardi per la stagione, temevamo che i monsoni avrebbero rovinato i nostri piani ma per motivi di lavoro era l’unico momento buono, quando a skardu abbiamo incontrato il gruppo italiano di ritorno dal K2 mi sentivo fuori posto, come se avessi calcolato male il periodo ideale per scalare in Pakistan. Pregavo perché le belle giornate continuassero e che avremmo avuto anche noi la nostra occasione di scalare.
Siamo partiti da Skardu la mattina presto a bordo di una Toyota land cruiser del 1984 beige, una macchina che da noi costa un’esagerazione per il suo design retró, Mentre a Skardu, come in una bolla fori dal tempo, è ancora la macchina più versatile e inflazionata per viaggiare su ripide e dissestate strade di montagna.
Arriviamo a Kande in tarda mattinata, uno alla volta i nostri 18 portatori partono verso la Nangma Valley appesantiti dal carico del nostro materiale e dal cibo per il campo base. In India i portatori erano più forti, portatori dal Nepal arrivavano a Gangotri per la stagione e si caricavano fino a 50kg per aver paga doppia, qui i ragazzi salgono con calma, sono uomini e ragazzi del paese che si prestano a questa attività in maniera disinteressata, una giornata diversa dal solito.
La marcia verso campo base è faticosa, il sole picchia come un fabbro sulle nostre teste, avevamo dimenticato di riempire una bottiglia d’acqua e lungo tutto l’avvicinamento non troviamo neanche un corso d’acqua dove poterci dissetare. Intorno a noi è tutto secco. Non c’è un cespuglio verde, saliamo e discendiamo ghiaioni, attraversiamo piani di sabbia e il vento ci riempie gli occhi e le narici di polvere alzata dai passi di chi ci precede. È tutto secco! Beige, grigio e soffocante.
Più saliamo più si delineano le forme delle montagne fino a quel momento viste soltanto in fotografia, siamo elettrizzati e contenti! La giornata è bellissima! Superiamo l’ultima morena e ormai la Green Tower è di fronte a noi, lo Shingu Charpa sopra di noi è una montagna che cattura subito la nostra attenzione ma di cui non sappiamo niente in fondo alla valle. Lo Skem Braq!
Pochi metri ancora di ghiaia e come per magia si apre un altipiano verde e rigoglioso! Con alberi e un prato verde perfetto, mucche al pascolo e lo sguardo dei portatori che analizza la nostra espressione, il nostro stupore è motivo di orgoglio nei loro occhi, sta a significare quanto ci tengano a condividere la bellezza delle loro montagne. Non dicono niente ma sono felici nel vedere il nostro stupore per tanta bellezza.
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/IMG_4402-scaled.jpeg)
Ci affrettiamo a preparare il campo base, i cuochi ci preparano una cena designa di un ristorante e ci ritiriamo in tenda appagati dal contesto che ci circonda. Saranno 3 settimane fantastiche se il tempo ci concederà di scalare su queste pareti.
La prima settima a passa in fretta, tra un mal di testa dovuto alla quota e qualche classico problema intestinale, facciamo dei giri a piedi intorno a campo base, attraverso le lenti del binocolo studiamo le verse pareti alla ricerca di una nuova linea con la quale confrontarci. Non basterebbe una vita per scalare su tutte le montagne a meno di tre ore di cammino dal campo base. C è l’imbarazzo della scelta! Ma fin da subito quel paradiso, questa oasi di bellezza nascosta tra le repulsive montagne del Karakorum rivela il suo lato più selvaggio e crudele. Scariche di sassi cadono dalle varie pareti rendendo il tutto assolutamente incomprensibile e alcuni nostri progetti siamo obbligati a depennarli dalla lista dei desideri per questo valido motivo. Mi immagino dentro una frana di quelle proporzioni. La polvere nelle narici, l’odore di zolfo e l’inferno di pietre che mira nella tua direzione. I primi sassi grossi che ti sfiorano, il tempo di realizzare che prima o poi, o tra pochi secondi, uno arriverà dritto a colpirti. Son quei pericoli che vanno oltre un tuo errore tecnico, rischi che corri quasi ogni volta che vai in montagna ma che nessuno può prevedere veramente. Siamo spaventati e decidiamo di rivolgere la nostra attenzione a quello che sembra essere la parete più compatta di tutta la valle. Lo sckem braq!
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/412715ff-9e08-47c0-b5b1-c80f972d3682-1-scaled.jpeg)
Assestiamo un primo tentativo, la scalata è entusiasmante! Scaliamo il più velocemente possibile convinti di riuscire a uscire dalla parete in appena due giorni. Scaliamo portandoci i friend da sosta a sosta essendo le fessure tutte della stessa misura. Voltarsi a guardare le corde che per 20 metri salgono verso di te senza altre protezioni fa venire un po’ di perplessità, ma è l’unico modo.
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/674f725e-aea5-4082-a331-9cd67b7ca852-1-scaled.jpeg)
Arriviamo ad un punto dove le fessure son superficiali e toppe d’erba, provo a farmi strada liberando quanto possibile le fessure con il martello ma è tutto vano, siamo troppo lenti. Scendiamo e torniamo a campo base sconsolati.
Ci prendiamo un paio di giorni per decidere cosa fare ma quel tentativo è quella parete in un mix di rammarico, desiderio e ambizione ci richiama a sé per un secondo tentativo. Partiamo più carichi, con l intenzione di stare sulla montagna per 5 giorni, porto una piccola piccozza per liberare le fessure dai tratti d erba. Siamo pronti a tutto. E scenderemo solo quando i portatori verranno a recuperarci a campo base.
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/3a66e3ef-0f14-43fe-b29a-8b63a0df098e-1-scaled.jpeg)
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/775fea46-3243-4adb-b576-e105d97287c7-1-scaled.jpeg)
Saliamo meno velocemente del primo tentativo la parte che conosciamo, siamo più pesanti e fa molto più freddo. Dopo i primi due giorni di lavoro ci godiamo uno di riposo sulla grande cengia, obbligati anche dal mal tempo.
I due giorni successivi scaliamo, procediamo in artif dove la fessura ci ferma a dover fare del giardinaggio. Lunghezze di corda complicate ci portano ormai a tarda sera ad una piazzola per il bivacco. Poco più che seduti passiamo la notte e il giorno dopo riprendiamo a salire dentro una piccola tormenta di neve. Arriviamo in cima verso le 9 del mattino e la giornata si rivela splendida, tutto intorno a noi un paesaggio fantastico! Poi scendiamo come schegge verso la base trovando sul nostro cammino tutto il materiale in cengia distrutto da una frana. Pensiamo a quanto siamo stati fortunati e acceleriamo verso campo base. Abbiamo impressione questo paradiso possa trasformasi in un inferno. Soltanto a campo base con un bicchiere di coca cola in mano capiamo che ce l’abbiamo fatta!
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/f534e363-2a96-49cd-a033-bb709b771c07-1-scaled.jpeg)
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/IMG_1117-1-scaled.jpeg)
AZZARDO ESTREMO il nome della nostra nuova via sullo Sckem Braq. 900 metri di dislivello e ancor di più di sviluppo. Arrampicando fino al 7a e all A3. Io e Chiara non potremmo essere più soddisfatti
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/a6ac021c-1ed3-4639-b3bb-bd0bc0fa6556-1-scaled.jpeg)
![](https://ragnilecco.com/wp-content/uploads/2024/10/059dcf58-7b63-43bf-80ca-08bdde1a129c-1.jpeg)