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Luca Passini, Make a Wish…

MAKE A WISH

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Prima dell’arrivo dell’Estate Luca Passini è riuscito a salire un suo progetto chiodato qualche anno fa nella Grotta di Mandello, la sua falesia di casa. “Make a wish” ha impegnato Luca per parecchio tempo e alla fine ne è uscito uno dei tiri più duri della falesia, completamente naturale e che forse rappresentava l’ultima linea a disposizione…Ma come dice Luca…”In grotta c’è sempre qualcosa da fare…” D’altronde, la foto “d’epoca” di Riky Felderer con marco Vago protagonista lascia capire che, in quanto a laboratorio d’alta difficoltà, la grotta di Mandello è un luogo cult

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foto by Riky Felderer

“Make a wish”, di Luca Passini

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Quando ebbi la fortuna di conoscere Norbi (Norberto Riva) e Ballera (Marco Ballerini) non avevo ancora ben capito tante cose, mi ero appena affacciato al mondo dell’arrampicata, ne avevo già vissuto diverse sfaccettature , ma quello dei monotiri in falesia  mi era quasi completamente ignoto.

Fino ad allora avevo scalato al massimo su vie di 6c (tirando i chiodi), quel giorno andammo in Valgrande, rimasi esterefatto nel vedere come salivano queste linee di 8a /8a +, che solo a pronunciare il grado, mi si impastava la bocca. Mi fecero persino provare a salire, arrancavo su questi appigli, bricolati su questa liscia parete, altrimenti impraticabile per gli standard di allora e forse anche di oggi, senza capire bene cosa stessi facendo.

Qualche giorno dopo, il maltempo, ci portò alla Grotta di Mandello, nuovo spot del momento ancora in fase di chiodatura, non esistevano le palestre, c’era per lo più qualche “muro casalingo”, ma la mentalità non si era ancora totalmente aperta a questa geniale evoluzione, per cui nei week end, se pioveva, si saliva anche con l’ombrello per scalare su questa struttura strapiombante che dava riparo dall’acqua.

Viste le capacità limitate, il mio obiettivo era ridotto a raggiungere la fascia mediana della falesia sulle vie più dure, tipo fare metà 8b equivale a un 7c, cose che a pensarci adesso mi fanno alquanto riflettere. Già allora il grado non era la priorità, l’importante era scalare, scalare tanto e in ogni condizione metereologica, e farlo con gli amici, quelli a cui non devi chiedere niente, quelli nei cui occhi leggi esattamente i tuoi pensieri e le tue motivazioni.

Il tempo poi ha fatto la storia, la mia storia, quella è diventata un po’ la mia seconda casa, un giocattolo a pochi minuti d’auto dalla prima, dove andarci anche con solo qualche ora ritagliata agli impegni quotidiani.

Dopo aver ripetuto le vie di Stefano (Alippi) cercavo di immaginare qualcosa di nuovo, per dare stimolo alle mie aspettative, il boulder si era ormai affermato da qualche anno, l’evoluzione tattile e mentale del climber moderno si era fortemente indirizzata verso gli appigli naturali ed io volevo cercare di seguire questa strada, senza però stravolgere quello che era stato fatto negli anni precedenti, o mettere in dubbio le scelte che erano state fatte figlie delle idee di quei tempi.

Pertanto se dovevano nascere dei nuovi itinerari lo avrebbero fatto si, ma solo se la natura ne aveva già tracciato un’identità nascosta, di difficile interpretazione, e che aspettava solo di essere scoperta.

All’inizio cercai di capire se si sarebbero potute concatenare le sezioni più dure delle vie, non solamente rivolto alla ricerca di un grado, ma cercando  di seguire delle linee logiche, come il bordo di tutta la grotta.

E il gioco fu di nuovo eccitante, cercare di sfruttare gli appigli naturali, su quell’inclinazione, per passare da una via all’altra capii che ne avrei avuto per un po’ di tempo.

Poi intravidi la possibilità di chiodare una variante diretta a “Francesca”, 5 spit in forte strapiombo su appigli piccoli, a volte piatti e anche un po’ strani. Purtroppo aveva un piccolo difetto, mancava una presa, così migliorai una tacca, tornai a provarlo e mi accorsi che non arrivavo a prenderla. che sfigato! Lo abbandonai, inutile perderci la testa. L’anno dopo, durante una nuova ricognizione a togliere ragnatele, trovai un sistema per passare senza l’appiglio migliorato, ricordo ancora con quale felicità lo tappai di resina, e con quanta rapidità ne venni a capo.

E adesso? Non mi restava che lei.

Nella parte destra della falesia, dove la grotta volge al suo termine, dove la roccia sembra meno bella e invitante, c’era ancora una via da salire, l’avevo chiodata senza troppa convinzione in una grigia giornata primaverile nell’ormai lontano 2006. Un diedro strapiombante e obliquo, appigli maldisposti, a volte troppi svasi, a volte troppo dolorosi. Ce n’è voluto di tempo solo per venire a capo di quelle insolite sequenze. Si facevano tutti i singoli, ma concatenarli?

Ogni anno qualche sporadico tentativo, appeso qualche ora solo per ricordare gli spostamenti dei piedi, gli intermedi, il giro delle mani e poi sul più bello l’arrivo del caldo, la perdita d’aderenza, il livello non all’altezza della situazione.

Quest’anno no, l’alta pressione l’ha fatta veramente da padrone e l’inverno non è mai arrivato (o meglio è arrivato ad Aprile), l’aderenza è stata a dir poco ottima per quasi 2 mesi, eppure, malgrado fin da subito avessi fatto i migliori tentativi di sempre, era sempre lì rognosa come un cane addestrato a respingermi. Ogni qualvolta miglioravo di un movimento, immancabilmente mi spegnevo al successivo, rendendo vane le mie ambizioni e i miei presupposti: se prendo quella presa lì’.. sono fuori Non volevo crederci, cadere lì? In continuità diventava tutto sempre più difficile.

Le nuvole grigio scuro in cielo, e le previsioni di pioggia, non auspicavano certo una giornata memorabile dal punto di vista arrampicatorio.

Mentre salivo il sentiero che portava alla grotta, pensai che comunque, indipendentemente dalla meteo e dall’umido, a cui non ero abituato da tempo, avrei scalato, e ciò mi rese subito felice. Memore di questo, e della giornata di scalata del giorno precedente, che non mi aveva certamente lasciato muscolarmente incolume, mi ero portato solo uno spezzone di corda, giusto per riprovare la prima metà della via, quella più dura, quella più aleatoria.

Ma come spesso accade, è quando meno te lo aspetti, che riesci a concretizzare i desideri a cui tieni, e per cui hai speso tanto tempo e tante energie. L’obbiettivo raggiunto è l’anello mancante che va a chiudere finalmente il cerchio. Al suo interno le emozioni e i ricordi di questa fetta di vita.

Il problema, alla fine, è stato scendere con quei venti metri scarsi di corda!

Thanks to: Gruppo Ragni di Lecco, adidas, Camp, Cassin, Five-Ten.

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