24-04-2006 E non la vogliono capire: nuova via in Supramonte, Sardegna Sulla gigantesca parete tra Punta Giradili e il Regno dei cieli Fabio Palma, Matteo Della Bordella e Domenico “Dodo” Soldarini hanno aperto in due round da ottobre 2005 “E non la vogliono capire” nuova via di 280m di 7b+/7c e 7a/7b obbligatorio. foto RIKY FELDERER
Dallo scrigno della Sardegna verticale, è nata un’altra via tra roccia e mare in quello che molti ritengono il tempio dell’arrampicata mediterranea: il Supramonte. Sulla gigantesca parete tra Punta Giradili e il Regno dei cieli ora c’è “E non la vogliono capire”, 280m di gran calcare per 10 lunghezze con difficoltà massima proposta di 7c/8a e 7b obbligatorio. La via, sulla grandiosa parete del Monte Ginnurcu, è stata iniziata da Matteo Della Bordella e Fabio Palma (nell’ottobre 2005) per poi essere chiusa nei giorni scorsi ancora da Fabio Palma questa volta in compagnia di Domenico “Dodo” Soldarini.
“La riteniamo bellissima col solito beneficio di essere di parte” scrive Fabio Palma “comunque il posto è fantastico, la roccia superba tranne dieci metri orrendi alla fine di L4) e cinque tiri su dieci sono davvero stupendi. La linea è espostissima, con panorama e vuoto alle spalle assicurati (ci sono quattro tiri consecutivamente strapiombanti, da L5 a L8 inclusa; L7 strapiomba come certi tiri di noti grottoni sardi).
La libera integrale resiste ma subirà altri attacchi prossimamente…”
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E’ L’AMOR DE MI VIDA, E NON LA VOGLIONO CAPIRE…
Una fortezza di calcare che si estende da Pedra Longa a Cala Luna
di Fabio Palma
“Una fortezza di calcare che, con brevi interruzioni, si estende da Pedra Longa a Cala Luna: vent’anni fa, in un documentario, Folco Quilici descrisse questa costa come l’ottava meraviglia del mondo, e ricordo ancora l’emozione del mio primo trekking e poi i continui viaggi per entrare nella grotta di Su Palu, oltre 40 km in continua estensione esplorativa che bucano disordinatamente queste muraglie ancora selvagge.
Oggi il turismo si è definitivamente appropriato di Cala Gonone, e l’arrampicata ha spinto molto questa invasione, con benefici evidenti per la popolazione locale e qualche riflessione da fare sulla proliferazione delle seconde e terze case in un angolo della Sardegna che è ancora un vero Paradiso naturale. Per questo da due anni preferisco la quiete di Santa Maria Navarrese, e poi, mentre aprivo al Wenden con Matteo e Dodo, mi sono ricordato di quella grande parete che si vedeva dal Regno dei cieli, l’avevo osservata tre anni fa e mi ero detto, allora che il verbo aprire l’associavo al massimo ad una porta, come mai nessuno si fosse cimentato su quella roccia così continuamente aggettante. I motivi per cui non erano ancora nate vie aperte dal basso erano due: l’accesso era molto più lungo delle altre pareti, e nel contempo la parete sembrava molto, molto impegnativa. Insomma, ci voleva un Dal Pra, o la coppia Larcher-Vigiani. Molti anni prima Bernardi aveva parto dal basso sulla parete adiacente, la famosa e leggendaria Sintomi primordiali, ovviamente su una linea più evidente e semplice, che la Sud del Monte Ginnircu non offriva.
L’ho capito il primo giorno che io e Matteo ci siamo incamminati verso la sua base, ovviamente stracarichi, alla ricerca di pertugi fra una macchia mediterranea certamente meno pericolosa della neve dello zoccolo del Wenden ma altrettanto infida, così ho pensato quando me ne sono ritrovata un bel po’ persino nelle mutande, dopo un’ora di pruriti e punture… Insomma abbiamo aperto un sentiero, e alla base abbiamo guardato all’in su e ci è venuto quasi male… era enorme e sono partito pensando che sarebbe stata una roba da mettersi le mani nei capelli. Una parete così, nelle Alpi, sarebbe diventata famosissima, mentre qui, in Supramonte, solo qualche pastore si avventurava alla sua base.
Meno male che c’era Matteo, il suo Spirito, io e lui insieme siamo davvero, come dire, la sintesi dell’immaturità concreta, o dell’incoscienza riflessiva. Chiaro e scuro, e una voglia incredibile di fare, quando siamo insieme. Ad Ottobre ci hanno fermato due infortuni, un pietrone che non mi ha staccato l’alluce per due millimetri, ed un volo su un obbligato per lui. L’ospedale di Lanusei è qualcosa che non si dimentica (“Avete un accendino che sterilizziamo l’ago per bucare l’unghia?” “Matteo, portami via di qui, ti prego…”), il dolore di un alluce che si gonfia come una pallina di ping pong neppure (“Deve sapere, signor Palma, che nel medioevo avevano scoperto che la sfera sessuale e l’alluce erano i punti più dolorosi e quindi migliori per le torture…”), e neppure, ovviamente, una corda di cento metri che dondola nel vuoto senza mai toccare (“Sembra la coda del mio gatto quando vede un topo, e mi sento tanto topo”, Dodo dixit). Io e Matteo venivamo dall’apertura di Portami Via, che aveva suscitato inaspettate invidie in qualcuno. Prima avevano detto che era impossibile che Portami Via fosse difficile e impegnativa, poi quando Steck e Anthamatten avevamo proprio detto così avevano spostato l’invidia sulla frase: sono incoscienti. Mah. Comunque…
Cinque tiri almeno di indimenticabile linea e roccia, parecchi momenti di fiato corto e la ricerca di una chiodatura parsimoniosa al massimo, cercando sempre il proprio limite, l’abbiamo chiodata così, alla fine pure con un mio rimpianto, in un punto avrei potuto avere più coraggio ma avevo sbattuto due volte e la caviglia di Matteo mi era tornata prepotentemente in mente.
Sono 280 metri di sviluppo per dieci tiri, e 34 spit in totale. Queste le cifre dell’apertura, che ne fanno una via impegnativa e psicologica per scalatori del livello mio e di Dodo. E’ paradossale, ma quando si apre al proprio limite si finisce per riconoscere che se fosse una via ignota quella appena tracciata non si sarebbe, probabilmente, capaci di ripeterla. Non saremmo in grado di andare in libera così lontano da una protezione se non si conoscesse a memoria, per averci respirato sopra con concentrazione massima e qualche scarica di adrenalina, ogni centimetro di roccia.
Così pensiamo che sia una via non pericolosa come Portami Via del Wenden, ma da andarci con una bella preparazione ed un livello mentale e fisico elevato. Io e Dodo l’abbiamo finita fra il 15 e il 18 Aprile 2006, e la falesia dei giorni prima ci ha detto che eravamo all’apice della forma. Matteo ha aperto tiri come L2 e L7 in forma inferiore a quella stratosferica della sua Estate 2005, ma abbastanza per rendere quelle lunghezze stupende e alpinistiche (alpinismo in Sardegna? Non scandalizzatevi, lo scrisse Gogna venticinque anni fa) al punto giusto.
E’ una via che, ne siamo sicuri, fuoriclasse della roccia avvezzi al vuoto saliranno con gioia perché apprezzeranno il piacere della scalata e il gusto di tentare l’on sight senza troppe certezze sugli appigli da seguire, e che scalatori medi come me e il Dodo potranno prendere come obiettivo di una stagione; una via impegnativa, di spessore, in ambiente magnifico, che richiede autocontrollo e capacità, senza capacità appropriata è meglio guardarla e poi piano piano migliorare prendendola come sogno, obiettivo, riferimento quello che volete. Noi facciamo così, salita una via ce ne attacchiamo un’altra al muro della stanza, una che non possiamo ancora fare, e aspettiamo il momento giusto per andarci. Se quel momento non arriva, non fa niente, è stato bello anche solo crederci.
Nota 2014: All’epoca dell’apertura, 2005, era probabilmente la prima via sarda aperta secondo una filosofia di usare meno protezioni possibili. Dopo sono venute Oltreconfine, Genius, Mezzogiorno di fuoco, Ci salverà la bellezza, e naturalmente le vie di Pietro dal Pra e compagni, le più selvagge e impegnative. Tutte queste vie sono meravigliose da tutti i punti di vista, ognuna di esse vale un viaggio, e non hanno nulla da invidiare a vie simili sulle Alpi, come quelle di Wenden e Ratikon, insomma.
di Fabio Palma
NOTA: La via è stata poi liberata da Adriano Selva e Fabio Palma nel 2006
Descrizione tecnica: La linea è espostissima, con panorama e vuoto alle spalle assicurati ( ci sono quattro tiri consecutivamente strapiombanti, da L5 a L8 inclusa; L7 strapiomba come certi tiri di noti grottoni sardi). La libera integrale resiste ma subirà presto altri attacchi.
Lunghezza: 280m
Accesso dal basso: Da Pedra Longa 30′ di comodo sentiero in piano fino ad un ovile; qui risalire sul costone roccioso che parte proprio dall’ovile e che punta dritto verso la grande parete. Traccia ben segnata per almeno 20′. Abbiamo lasciato un ometto quando bisogna piegare a destra per 10 metri fino ad un ghiaione che si risale per vent metri, quindi di nuovo a destra e per altri 15′ risalire per massi fuori dal bosco, che rimane a destra sotto un’altra costa rocciosa. A circa 50 metri in linea d’aria dalla parete piegare di nuovo a destra, nel bosco, risalirlo in diagonale fino a sbucare sotto la parete. C’è una bellissima pietraia, in piano, cn psto da bivacco favoloso, se si vuole. A zig zag per evitare la macchia mediterranea abbiamo aperto il sentiero per raggiungere una nicchia rossa posta trenta metri a sinistra di un’enorme cavità che si intravedeva già a metà accesso. Abbiamo messo uno spit alla partenza, visibile abbastanza da lontano. All’ovile comunque si può anche proseguire quasi orizzontale, col mare sulla destra, cper sentiero ben segnato, poi piegare a sinistra fino ad arrivare sotto la parete del regno dei Cieli, costeggiare la parete, quindi anche la parete della Sud del Monte Ginnircu ( che ora conta altre due vie, Genous e Oltreconfine) fino, all’estrema snistra, questa via.
Accesso dall’alto: Ora ci sono le doppie, molto aeree. Se si è sicuri di farcela, in un’ora si è alla base della parete. Altrimenti portarsi scarponcini per tornare alla macchina risalendo l’intaglio che divide la parete dalla punta Giradili.
Si parcheggia la macchina come per accedere al regno dei cieli, ed in tal caso si è appena a 15′ dallo spiazzo con vascone (sterrata in ottime condizioni, a dx 1,5km dopo il cuile da cui parte il sentiero per le vie della Giradili). Le doppie partono da un grosso ginepro, con due cordoni blu guardando il mare circa 50 metri a dx dell’intaglio che divide la parete dalla bastionata del Regno dei Cieli.
Materiale: Bastano sei rinvii, eventualmente FR1 e FR2 in qualche tiro ( come l’ultimo), ma non indispensabili. Gli apritori non li hanno usati secondo l’etica Manolo
Sui tiri difficili concentrazione nei seguenti moschettonaggi, molto alti: il secondo di L2, il primo di L6, il terzo di L8, il secondo di L9. Altrove la chiodatura è obbligata e molto lunga ma non, secondo noi, pericolosa. Invece nei tiri sotto il 7b non bisogna cadere nei lunghi run-out, le protezioni sono lontanissime e non sappiamo se integrabili. Probabilmente no.
Note: La parete va in ombra dalle due, troppo calda la mattina da Maggio a Settembre.
Tutta la via tiro per tiro
Gradi: 6b, 7b+/7c, 6b, 6c, 6c, 7a+/7b, 7c/8a (da liberare), 7b, 7a, 6c
L1: 6b 2spit 25m aperto da Fabio
L2: 7b+ 6spit (ultimo aggiunto per dimezzare run-out di 6b di 20 metri) 40m Aperto da Matteo.
L3: 6b 2spit 25m Aperto da Fabio
L4: 6c 3spit 40m ultimi dieci metri roccia molto brutta Aperto da Matteo
L5: 6c 2spit 20m Aperto da Matteo
L6: 7a+/7b 3spit 25mt Aperto da Matteo
L7: 4spit 25m 7b+ Aperto da Matteo
L8: 7b 6spit 30m Aperto da Matteo, Fabio, Dodo.
L9: 7a 3spit 25m Aperto da Fabio
L10: 6c 3spit 25m Aperto da Dodo
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