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LA VIA

QUI IO VADO ANCORA (Here I go again), 540 metri, 15 lunghezze, 7c max, due tiri con A1, 7a obbl.. I gradi potrebbero essere molto influenzati dalla quota, da un giorno all’altro un tiro che avevo dato 6c mi è sembrato 7a+!! Solo Simone, fra noi, non ha minimamente risentito degli sforzi ad alta quota.

Servono friends fino al 4,5, qualche chiodo in via (speriamo non ne vengano aggiunti altri per nostro rispetto). Portare il martello perchè qui quando fa freddo (gela!) e i chiodi potrebbero uscire. L’attacco è a 4100 metri, l’uscita a 4600 metri di quota. Per aprirla abbiamo impiegato otto giorni in parete.

21-07-2006 Qui io vado ancora, immagini e epensieri dalla valle del Rurec Ancora foto e qualche suggestione dalla valle di Quebrada Rurec (Cordillera Blanca, Perù) dove Simone Pedeferri, Fabio Palma, Andrea Pavan hanno aperto “Qui io vado ancora”.

Pensieri dal Perù, di Fabio Palma

RUREC
Rurec…. c’erano stellate incredibili, ma il freddo le rendeva fugaci, si scappava in tenda. C’erano i condor, e fiori senza stelo per il vento. C’erano boschi fino a 4500 metri, e vette a 6000 metri che ti schiacciavano anche se eri a 4000. C’erano prati lisci come giardini e giganteschi come stadi, ma gelidi per 15 ore al giorno. Giù nel villaggio, a dodici km di cammino, c’erano bambini sempre sorridenti, e gente spesso colorata.
C’erano tre tipi fuoriposto, ed eavamo noi, venuti là a scalare, che poi tutto quel granito se ne fregava di noi, era liscio ed enigmatico, difatti si saliva a fatica, col fiatone, e penso che là ero fuoriposto, chissà se poi esiste il segnaposto per ciascuno di noi che ne dite? C’era un tizio che non si fermava mai, mai stanco, appena un paio di volte affranto, ma appena… c’erano sacchi pesanti, qualche libro da leggere, come la pastorale Americana di P. Roth, la Fattoria degli animali di Orwell, e la saga di Arturo Bandini, di John Fante, poi le mie cose scritte.

C’erano le serate passate a parlare di alpinismo, da Boardman e Tasker in poi, noi 14 giorni e loro tre mesi, che schiappa che sono, io sono tornato devastato già così. Alla fine c’è stata una via che potrei chiamare estrema, siamo andati via che non volevamo neanche più vederla, adesso ne parleremo su riviste e in serate ma la verità è che non ne potevamo più, neanche il tizio che non si fermava mai, figuriamoci io che ero stravolto. 80 chilometri a piedi in 13 giorni, più migliaia di metri di dislivello, tanta jumar, un 7b e qualche 7a. Una jumar che si apre con sotto 400 metri di vuoto, una decina di volte che sarei dovuto essere più veloce, un centinaio di volte che avrei voluto essere più forte. Insomma una gran via, mi guardo le foto e dico che è una gran via e che, però, non ci tornerò mai più

LE MANI
Le mani ti portano il freddo quando fuori di te il gelo assedia la vita, ma intiepidiscono un viso quando lo sfiorano innamorate. Sanno dare l’aria quando ti senti soffocare, e ad esse ti aggrappi durante i tanti cercare, invano, della vita. In arrampicata esplorano il fragile e l’opulento, il minuscolo e l’attonito, ed è un pò come quando ami, esse partono da te e non sai mai il brivido che scrollerà l’attesa quanto profondo ti scaverà.
Succederà che le rimirerai giorni e anni dopo, alla ricerca di quel brivido, e come il vento qualcosa scompiglierà, magari i capelli ed è un’immagine abusata ma forse anche le labbra e cose così, apparentemente solide e ben formate…l’istante e l’incanto del cumulo di brividi di quel giorno riesumerà tutto d’un colpo, così finalmente potrai apprezzare quello che hai fatto e capirlo un pò di più.

LE MARGHERITE
Qui le margherite sono umili, così più realiste del loro destino, non hanno l’ansia che mi strozza anche oggi, quella morsa di voglia che combacia raramente con quanto potrei fare. Non hanno stelo, a milioni tappezzano il prato con corolle gialle e regali ma appiattite su un prato rasato da mucche e vento. Forse lo stelo c’è ma è sottoterra, così, come dovrei conservarlo anch’io, saperne l’esistenza ma relegarne la supponenza come certe maestre fanno con i bambini sapientoni, li zittiscono e li spingono a fondo classe
nvece il mio, di stelo, continua a venir fuori, non ascolta il vento gelido delle mie paure e incapacità…sono sempre troppo in alto rispetto alla pianura delle cose da fare o da provare, e così loro, le margherite, vivono senza troppi problemi anche in questa valle sfondata dal vento dei 6000 metri che la chiudono mentre io cerco invano di coprirmi all’uragano di ambizioni che la vita mi scaraventa addosso.

ESSERE TRASPARENTE O OPACO?
Fossi trasparente, mollerei tutto e tornerei nella vita di tutti i giorni, che per me non è mai uguale ed è già un qualcosa ma che comunque si versa come il caffè la mattina, scuro, misterioso, ma con un inizio ed una fine.
ossi opaco non darei importanza alle mie lamentele interne e via lassù senza alcuna indecisione se non quelle che abbiamo tutti dentro, annidate e ricoperte da strati di false sicurezze.
Ma c’è anche il lucido, che devo considerare. Pensa che a me i libri piacevano stampati su carta patinata, lucida, appunto, sembrava più brillante…poi, proprio per questo libro che dobbiamo andare a fare, sono andato in libreria e ho visto come sono stampati i libri d’arte, e, Dio mio, ha cominciato a piacermi l’opaco, come se desse più calore, come se nascondendosi, appunto, rimanendo opachi, si appaia più caldi agli occhi della gente.

teschio