09-09-2005 Portami via a Wenden per Palma e Soldarini Matteo Della Bordella, Fabio Palma e Domenico “Dodo” Soldarini hanno aperto Portami Via (pilastro della Strada del Sole, Wenden).
Ecco un ricordo di fabio
Avere idee è comune, coltivare sogni è quasi normale (talvolta irresponsabile), ma decidersi ad alzarsi da una poltrona, o nel nostro caso ad abbandonare le comode falesie o le mai comode ma comunque gloriose ripetizioni in montagna, esige quel tocco di Spirito che si ha sempre meno col progredire dell’età. A questo penso, filosofeggiando, mentre schiacciato da 25 kg di zaino arranco sui mille metri di dislivello wendeniani, affiancato dal grande Dodo e da mia moglie, pesantemente ingannata (se vieni ci fai le riprese, dai…) coi suoi quasi 15 kg di materiale.
L’idea la ebbe il Dodo l’anno scorso, poi negli ultimi due mesi gliel’ho ricordata di frequente, sapendo che il Dodo è ammalato di quel virus alpinistico che colpisce a fondo pochi, si chiama mania di aprire, e siccome la massa ne è immune lui, il virus, si vendica agendo in profondità verso chi ne è soggetto.
Meno filosoficamente, penso che ogni attività ha la sua scala, e che accedere a una parete non fa eccezione; ci sono gli accessi alla Jason Smith, dieci giorni da solo in una tundra artica trasportando 150 kg per cinquanta km; poi lo stesso accesso può essere compiuto in quattro, ed è il caso di un Pritchard e dei suoi amici, e anche qui mi sento piccolo piccolo. Però ci sono anche gli elicotteri, gli sherpa, e magari gli amici, quelli che non sono riuscito a convincere… insomma, arriviamo alla base del nostro pilastro in tre ore, la schiena si è ribellata un paio di volte e la neve caduta il giorno prima ha pure reso pericoloso qualche passaggio. Non so in che scala potrei mettermi, ma tante cose lette d’incanto acquistano più spessore… Per questo accetto volentieri che il Dodo parta per i primi metri dell’idea, del sogno, chiamatela come volete.
Siamo in mezzo a due cascate di oltre 250 metri, sopra la neve si sta sciogliendo e il Wenden non è mai stato così bello.
Siamo più selvaggi e isolati che se fossimo in certi campi Pakistani, l’avventura non ha bisogno di un biglietto aereo, perlomeno la nostra. Dodo… Domenico Soldarini, mister avambraccio/pettorali/addominali, l’incarnazione dell’omino Michelin… è così, lui in falesia si impaurisce con lo spit ai piedi e così in molti hanno ipotizzato chissà quali trucchi nell’apertura delle sue vie delle Alpi centrali, quelle in cui vaghi per metri e metri alla ricerca di come proteggerti. Niente trucchi, trovo il termine sapienza mentre lo vedo arrendersi al primo spit soltanto dopo oltre quindici metri di onesto quinto grado, e alla fine dei 38 metri, che valuterò 6b+ scala Wenden, il trapano avrà ronzato solo tre volte. Grande Dodo, mentre ripeto mi dico che perfino da queste parti questo è un tiro che strapperà consensi, o imprecazioni, o fughe… che poi, quando un tiro ha personalità, le tre cose si mischiano senza vergogna.
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Tocca a me, sul muro soprastante, già più verticale. Impiego un infinito a mettere il primo spit, io e i cliff siamo nemici dichiarati e il bloccaggio mi distrugge. Se penso che sono nella forma migliore della mia breve storia di arrampicatore e sono già tetanizzato dopo due metri… sconsolante, ma mica posso scendere dopo due metri! Parto per l’incognito, che roccia, avanzo con gioia e il Wenden mi ripaga con forme giuste al posto giusto… sotto in sosta non vedono quello che vedo io, buchi buoni e provvidenziali, così Dodo si aspetta il volo rovinoso, la chiamata al soccorso alpino, e insomma tutte quelle amenità che riempiono gli incubi dell’apritore, quando mi vede ancheggiare alla ricerca dell’equilibrio. Tranquillo Dodo, la debolezza dello scalatore, ovvero la protezione fissa, riesco a metterla docilmente, lontano ma senza affanno. Vado poco oltre, poi scendo, già esausto… la mattina dopo due spagnoli raggiungono lo spiazzo all’alba, hanno bivaccato, ma sono felici, hanno voluto finire una via a tutti i costi… bravi, incoscienti e bravi!
Nota: la foto qui sopra è del 5 Settembre, pochi minuti dopo il terribile volo di Matteo. Al centro Erik Svab, che con Fabio seguiva la cordata Matteo-Dade. Erik: “io posso capire lui, che è giovane e quindi incosciente, lo siamo stati tutti. Ma tu, tu non capisco. Ma cosa cazzo ti saltava in testa quando aprivi a quel modo?”
Il secondo giorno il sentiero è lungo uguale, ma almeno siamo meno carichi e la neve non c’è più. Riassumo mille emozioni e un paio di paure dicendovi che ho trovato una bella nicchia dopo ventisette metri fantastici, e che non ho avuto abbastanza coraggio per arrivarci dopo quello che sarebbe stato il più lungo run-out della mia vita. Quante volte, in montagna, si è al bivio delle proprie angosce… certe volte osi, e solo osando ti quieti un po’, ma in fondo per poco, sei sempre alla ricerca di quel qualcosa in più, dimostrare a te stesso e, diciamolo, anche agli altri, che hai schiacciato almeno per qualche attimo le tue paure in bel sacco nero da monnezza riciclabile.
Dodo mi raggiunge e io sono già intirizzito dal freddo, mi copro con tutto quello che abbiamo ma tremo, e sono solo le tre del pomeriggio… sopra il muro è inquietante, se la mia linea ha disegnato intorno al freddo numero 7b sopra siamo attesi da qualcosa in più, e d’altronde l’uomo ha inventato le scale per salire e scendere da case, blocchi di roccia, ipotesi di quantità. Tradotto nella situazione del momento, Dodo impiegherebbe un’eternità soltanto per pochi metri, peraltro da meditare bene, visto che mi volerebbe addosso in caso di errore… e io qui sono già in brividi, mentre la cascata ricorda la sua presenza con estemporanei sbuffi. Sono un pivello, mi ripeto per l’ennesima volta, potevi portarti calze di lana e un pile in più… niente, si scende, due giorni per due tiri, non siamo neanche a un quarto dal pilastro e nel cuore l’orgoglio di aver iniziato implode sotto l’ombra del grave che abbiamo voluto sollevare. Sarà una mazzata, detto in gergo.
Sullo zoccolo le gambe sono di marmellata, mi siedo e prendo a caso uno fra i pensieri che sono riuscito a scrivere negli ultimi mesi insonni, quando fra musica e passione e agitazione ho lasciato che le notti se ne andassero sempre prima.
Magari è meglio sfruttare ogni ora perchè tutto è effimero, come una cascata di ghiaccio, e le emozioni vere sono quelle che ti lasciano una cicatrice tutta la vita, quelle in cui non bisogna mettere troppi punti e troppi punti e virgola come in questo pensiero, perchè quando li metti potresti andare a capo, ed allora potrebbe essere per sempre, e un po’ ti dispiacerà, anche fra anni, anche fra decenni, e la vita avrà scavato un oceano, ma sempre una piccola cicatrice ti ricorderà un momento od un istante, di agitazione e di fuori di testa, come quando arriva un’onda anomala e ti butta giù, e rimani bagnato e ridi, e quando va via torni a fare il bagno nell’acqua calma, ma un po’ ti dispiace, di stare in piedi e di accovacciarti quando vuoi tu, e non quando vuole anche il tuo cuore e il caso e questo brivido che ho ora dentro, e Dio ti ringrazio anche di queste ore, e fammi fermare e mettere questo punto, ma non ora non ora non ora.
Allo spiazzo giro di telefonate per il Week-end, Dodo va sul Bianco, Paolo con lui, l’Adriano in Dolomiti, Matteo anche… io guardo su e vorrei tornare sul pilastro già domani, ma perché non ho osato di più sul traverso, come sarà sopra, riuscirò ad essere bravo quanto lui è abbacinante, quanto vorrei essere più forte, o meno debole, fate voi, quanto mi sento bene qui, in questo spiazzo, sotto queste pareti enormi in cui mi sento quello che vorrei essere in tutti gli altri giorni dell’anno: un cattivo ragazzo, secondo il comune senso dell’ordine.
LA CALATA SU CLIFF
Io sono volato il giorno prima per cinque volte,nel vuoto, sicuro. Riparto con carica positiva, ma al terzo volo capisco che dovrei stare lì per ore, per passare da quell’obbligato. E se non finiamo la via oggi, la mente ci abbandona, siamo esausti.
Parte Matteo, e a differenza di me lascia tutto all’ultima sosta, trapano, martello, e, con molta incoscienza, anche friends…non li abbiamo mai usati, ma all’imbrago la serie piccola c’è sempre, tutto sommato fanno scena, oltre che infondere una certa sicurezza.
Matteo vola al primo tentativo, mille metri sotto, col binocolo, Dodo commenta i nostri voli a metà fra il divertimento e lo stupito. Il giorno prima aveva sentenziato “la prossima volta porto una pistola così lo fermo oltre i sei metri…”. Comunque, il giovane dimostra che level is level, e il suo novello ma già consolidato settec a vista lo impiega con sapienza, intuito e , perché no, fortuna. E va…
Quando Matteo va, da sotto non si può che rimanere a bocca aperta; crescono i metri di distanza, e lui prova e riprova i movimenti come se fosse con la corda dall’alto, o lo spit al ginocchio. Si rimane talmente contagiati dalla sua calma che anch’io, in questa apertura, col progredire della via mi sono ritrovato ad aprire senza pensare a dove fossi ma, semplicemente, a scalare. Sono talmente rilassato che ormai non mi preoccupo più nel vederlo ad oltre dieci metri dall’ultimo spit, ed ecco che parte la vera storia: Matteo recupera la corda di servizio ma il trapano non arriva…una, due volte…ed inizia la disperazione…impossibile cadere da dove si trova, sarebbe una tragedia, e difficile, soprattutto con la mente sempre più stressata, scalare all’indietro.
Immagino le peggiori scene di un’arrampicata in montagna, mentre tento di ragionare, ma non c’è che una soluzione, e ci arriviamo insieme: calata su cliff…
Ne ha due, li incastra, e inizia a calarsi, cercando di arrampicare; io trattengo il fiato, ho l’idea di slegarmi dalla sosta e di lanciarmi all’indietro nel vuoto nel caso di cedimento dei cliff, ma la sosta ha purtroppo alle spalle una cengia, non posso farlo. Passano i dieci minuti più lunghi delle nostre vite, fino alla salvezza.
PORTAMI VIA (pilastro della Strada del sole, Wenden)
Primi salitori: M. Della Bordella, F. Palma, D. Soldarini 08-09/2005
sviluppo: 230m
difficoltà: 7c+ (7b obbl.) S5, L5 ancora da liberare
materiale: per un ripetizione sono sufficienti6 tinvii e 2 corde da 50m, tuttavia la chiodatura dei tiri più facili si può integrare con friends di tutte le misure
discesa: in doppia lungo la via “Strada del sole”
accesso: dal parcheggio di Wenden seguire il sentierino che per prati sale verso le pareti. Arrivati a una fascia rocciosa la si supera sula sinistra, attraversando il letto di un torrente, proseguire poi diritti e, giunti a una seconda fascia rocciosa costeggiarla verso destra, finché il sentierino non permette di superarla. Si sale dapprima verso sinistra, poi decisamente verso destra per ripidi prati e rocce; si traversa il letto di un fiume e si giunge alla base del pilastro. la via attacca 10m a destra di “Strada del sole” (spit alla base). 1 ora e 3a min. dal parcheggio.
Lunghezze:
L1: 38m, 3 spit, 6b; Dodo
L2: 25m, 6 spit, 7a; Fabio
L3: 24m, 4 spit, 7c+; Matteo
L4: 45m, 2 spit, Expo 6c; Matteo
L5: 40m, 5 spit, Expo 7c/8a Fabio-matteo-Fabio-Matteo
L6: 35m, 2 spit, 6a; Fabio
L7: 30m, 3 spit, 6b+.Matteo
Note: via molto impegnativa ( secondo Erik Svab, sicuramente fra le prime dieci vie delle Alpi, almeno) e di gran soddisfazione, la prima chiodata da italiani al Wenden. la roccia è in generale molto buona, solida e compatta e molto tagliente, anche se non manca qualche tratto di roccia delicata, in particolare nella prima metà del 5° tiro e in uscita dal 7°. L’impegno richiesto è elevato sia a livello psicologico che fisico; la chiodatura è in alcuni punti molto distanziata e i voli possibili superano i 15 metri. Prestare particolare attenzione alla L4 dove il primo spit è molto alto (15 metri dalla sosta) e alla L5: questo tiro è molto pericoloso in quanto nei primi 20/25 metri la roccia non è della migliore qualità e in caso di volo si può andare a sbattere direttamente contro il pilastro che si ha alle spalle con conseguenze che potrebbero essere letali. La via è da percorrere in condizioni meteo assolutamente stabili; in caso di maltempo infatti si formano due enormi cascate dai colatoi a destra e sinistra del pilastro che rendono estremamente problematica una eventuale ritirata. Tuttavia la via asciuga rapidamente dopo le piogge. Nel complesso l’itinerario non è di tipo sportivo, come la maggioranza delle vie del Wenden, ma di tipo alpinistico, nonostante l’uso del trapano e la presenza di spit, e richiede buone doti di esperienza e capacità di valutazione dei rischi.
relazione e disegno: Matteo Della Bordella