Il 65esimo Corso Roccia dei Ragni si è da poco concluso. Come da tradizione lasciamo alla penna di uno degli allievi il compito di raccontare le esperienze vissute.
Come spesso accade, le riflessioni di questi “novellini” sono tutt’altro che banali e gli occhi di chi vede per le prime volte il mondo della montagna e dell’alpinismo sanno vedere cose che, chi in questo mondo ci sta da anni, ormai dà per scontate.
NB: sulla pagina Facebook della Scuola dei Ragni trovate le immagini e i post dedicati alle varie uscite del corso e le nuove avventure dei nostri allievi, che, ormai contagiati dal virus della scalata, stanno cominciando a seguire la loro via…
Una disperata voglia di arrampicare
di Filippo Magnani
È un grigio lunedì mattina e siamo tornati ieri dai tre giorni conclusivi del corso AR1 2017 in Dolomiti. Whatsapp e Facebook esplodono di quelli che sono già splendidi ricordi di un fantastico gruppo di ragazzi di varia età, esperienza in montagna e capacità tecniche, che hanno una disperata voglia di arrampicare. E di divertirsi arrampicando, perché i momenti passati a raccontarsi le peripezie e gli errori, le battute e gli sfottò, insomma, a condividere la gioia di arrampicare, sono la cifra di un gruppo unico. E visto che io ero tra quelli che ha approcciato il corso con più cose da imparare, provo a raccontarvi la mia esperienza.
L’obiettivo delle varie lezioni pratiche e teoriche era quello di trasmettere tutti i fondamentali della catena di sicurezza – l’attrezzatura, le protezioni, le soste, le manovre e la discesa in corda doppia – e la base della tecnica d’arrampicata. Insomma tutto quello che serve per raggiungere un certo livello di autonomia, qualsiasi sia l’interpretazione che si voglia dare all’arrampicata: dalla più sportiva alla più alpinistica. Se l’obiettivo tecnico sia stato raggiunto, lo scopriremo tra una settimana, la sera di consegna dei diplomi.
Questa è la sintesi. Ma chiunque di noi presenti al corso direbbe che questa sintesi è del tutto incompleta.
Perché direbbe che il vero obiettivo del corso è stato un altro, che nessun diploma può certificare. Dall’Angelone alla Grignetta, dal granito della Val Masino alle Dolomiti, i nostri istruttori hanno saputo aprire davanti ai nostri occhi ciò che di più prezioso potevano consegnarci: la montagna.
Scalando con loro abbiamo scoperto come la montagna è una misura, perché ti mostra chiaramente ogni tuo limite, fisico e mentale, ma anche ogni punto di forza. La montagna è sincera, perché ti dice senza troppi giri di parole cosa sei in grado di fare e cosa no.
I sentimenti a cui la “modernità” ci abitua tendono ad essere piatti ed ovvi. Mentre arrampichi invece la montagna ti fa provare ogni tipologia di emozione, dalla paura alla gioia, dalla rabbia all’appagamento, in modo così vero e con tutte le possibili sfaccettature. E la gioia di arrampicare spesso è incomunicabile, perché chi considera le montagne solo come multiformi rilievi grigio-verde, vedrà l’arrampicata solo come turismo o cronaca, e non riuscirà a capire cosa hai provato mentre scalavi una via dolomitica.
La montagna è metodo, perché imparare nodi e manovre, ripetere un passaggio enne volte, ed andare ad allenarsi la sera tardi per tentare di stare al passo con gli altri durante le uscite richiede quell’abnegazione che solo la passione può darti, ma anche la certezza che l’impegno poi viene premiato. E la fatica o la frustrazione per non riuscire a superare in modo dignitoso passaggi tutto sommato banali è stata sempre ricompensata all’uscita successiva quando, grazie agli istruttori, scopri che quello che sembrava un limite insormontabile in realtà era solo nella tua testa. La montagna è tenere accesa la fiamma. Perché ti insegna che cercare solo discese o assenza di ostacoli vuol dire tenersi il vuoto del vivere senza soddisfazioni vere, obiettivi per i quali hai sudato e che, una volta raggiunti, ti permettono di guardare al prossimo con fiducia.
Ma la montagna sono soprattutto loro: Mario, Carlo B. , Matteo D.B., Marco M., Luca B., Dimitri, Marco V., Stefano, Luca G., Massimo, Pier, Carlo A., Lorenzo, Matteo P., Luca S., Simone P. e ovviamente Dante, Pino e Silvano, che si sono caricati sulle spalle (a volte in senso letterale) un manipolo di ragazzi e ci hanno insegnato sulla montagna, che la montagna è tutte queste cose. A loro va il ringraziamento per la pazienza, la dedizione, per l’enorme esperienza che ci hanno trasmesso con metodi, approcci e anche caratteri diversi, a volte prendendoci per mano, altre anche con qualche sano “incoraggiamento” (chiamiamoli così), ma anche per le risate, e le sgridate. E mi perdoneranno, perché sicuramente sanno che la montagna non ha bisogno di (tutte queste) parole che comunque non bastano per spiegarla, perché sa spiegarsi da sola, nel linguaggio universale della fatica e della bellezza. Ma alla fine, siamo pur sempre allievi.