Una cattedrale sullo Hielo
Ormai sono tre settimane che il tempo non ci concede neanche una piccola finestra per poter tentare di salire il Cerro Murallon. Il brutto tempo mi concede però molto tempo per riflettere.
Penso al nostro obbiettivo, una Montagna di 2800mt simile a una cattedrale situata nel mezzo del ghiacciaio Upsala. L’Upsala è un braccio di 60km di ghiacciaio nel Hielo Patagonico Sur, il terzo ghiacciaio continentale al mondo. Lontano da qualunque cosa e da chiunque. Solo L’Estancia Cristina raggiungibile con un viaggio in barca di 3 ore da El calafate ci da un minimo di sicurezza. Ma è lontana, quasi 4 ore di cammino dal rifugio Pascale (una baracca di lamiera) e 17 ore di cammino dal Cerro Murallon.
Una volta sulla parete possiamo solo confidare nelle nostre forze. Niente e nessuno verrà a salvarci in caso di incidente. Il Murallon è stato scalato solo quattro volte, la Prima dal celebre Shipton poi dai Ragni Casimiro Ferrari, Carlo Aldè e Paolo Vitali sullo Spigolo Nord Est , poi dai teutonici Stefan Glowacz e Robert Jasper e poi da una forte squadra di Francesi sul Pilastro del Sol Nascente. Manca la Parete Est: una muraglia di ghiaccio e roccia che da lontano pare impenetrabile.
La motivazione di salire una montagna cosi complicata e lontana da tutto mi era venuta dopo essere riuscito a salire la ovest del Cerro Torre e La parete est del Fitz Roy. Avevo bisogno di rilanciare la posta in gioco. Nel 2016 mi era mancato l’isolamento, il brutto tempo, le bufere e forse un po’ la dimensione “Avventura” che rende così leggendaria la Patagonia. Volevo dimostrare a me stesso, che ero capace di aprire una via nuova su una montagna isolata e difficile nelle condizioni più estreme. Sapevo di esserne capace in “teoria”.
Mi rendo conto che per aprire una via in questo posto l’affiatamento con la cordata dev’essere ottimale. Penso ai miei due compagni di avventura. Matteo Della Bordella, lo conosco bene, ne abbiamo già fatte di vie e avventure insieme, viaggi a Yosemite, Corsica, Pakistan, Patagonia 2016 sulla Est del Fitz Roy, vie nuove nelle Alpi e decine di ripetizioni. Lui in Patagonia è un veterano con ormai stagioni alle spalle. Mi fido ciecamente e lo so che quando è il momento giusto da sempre il 1000% e non si lascia spaventare tanto facilmente.
Matteo “Berna” Bernasconi invece praticamente non lo conosco, so che è una Guida Alpina e anche lui un veterano della Patagonia, con viaggi al Cerro Piergiorgio, San Lorenzo, Torre Egger, Standarth. Ma nelle Alpi non abbiamo quasi mai scalato insieme. Matteo DB lo conosce bene invece e si fida di lui e delle sue capacità, questo mi rende più tranquillo e subito nel viaggio ci troviamo bene. E’ un ottima persona con qui stare insieme.
Al cospetto del Murallon
È il 27 gennaio e ormai inizio a perdere le speranze, siamo riusciti a portare il materiale a 2 ore di cammino dalla parete e poi siamo ritornati al rifugio Pascale.
Matteo DB telefona al nostro metereologo Maurizio “Dezza” De Zaiacomo, chiedendogli l’ennesimo aggiornamento. Dezza ci dice che forse il barometro dovrebbe salire a 1020hpa attorno al 3 febbraio. Non ci crediamo, un’Alta Pressione!?! non sembra vero. I giorni seguenti questa finestra di bello continua a cambiare ma sembra che avremmo la nostra chance.
Non sto più nella pelle e sono super motivato. Finalmente il 2 febbraio decidiamo di andare a piazzarci nella nostra tenda al campo avanzato sotto al Cerro Murallon con una settimana di cibo a disposizione. Partiamo e traversiamo l’immenso ghiacciaio Uppsala, il Murallon si prende gioco di noi uscendo e entrando dalle nubi ogni due ore.
Il paesaggio è biblico, una cattedrale di granito coperta da seracchi alti centinaia di metri svetta solitaria nel mezzo di un ghiacciaio che si perde a vista d’occhio. Verso Sud vediamo il ghiacciaio Uppsala cadere nel Lago Argentino e perdere i suoi preziosi iceberg nel lago. Mi sento fortunato di essere li, ho voglia di ingaggiarmi e dare il massimo. Abbiamo solo una chance e dobbiamo dare tutto. Una decina di ore dopo essere partiti dal rifugio Upsala, iniziamo a piazzare la tenda, il vento è fortissimo e vedo Matteo DB letteralmente venire lanciato per terra dalle raffiche.
Piazziamo la tenda e passo due ore a costruire un muro di protezione, ma le raffiche sono talmente forti da farmi pensare che la tenda non reggerà a lungo. Quando Matteo DB va a prendere l’acqua trova un luogo che sembra più riparato più in basso, vado a vedere ed effettivamente sembra che l’angolo sia più protetto. Decidiamo di spostare il campo più in basso. Stupidamente per velocizzare il tutto io e Matteo DB decidiamo di fare i 50 metri tra i due campi, senza smontare la tenda. Pochi secondi dopo ci troviamo la tenda con 2 pali piegati, un palo spezzato e diversi strappi nel telo e io con un taglio nella gamba.
Ripariamo il palo rotto nastrandolo con i picchetti, e sistemiamo al meglio il resto della tenda. Sembra tutto apposto. Dovrebbe reggere. Anche la mia gamba è rammendata ma mi fa male. Passiamo i due giorni seguenti aspettando aggiornamenti meteo nella tendina, razionando cibo e giocando a carte.
Il primo di febbraio Dezza ci dice che dovrebbe esserci una finestra di 4 giorni con una breve perturbazione nella notte. Il 2 febbraio i giorni sono diventati 2. Decidiamo comunque di partire con l’obbiettivo di aprire una via sulla Parete Est. Dovremo essere veloci per battere il brutto tempo. Il 3 febbraio, l’ambiente diventa surreale, qualcosa o qualcuno ha spento il vento!
Ci portiamo sotto al Cerro Murallon in un ambiente che non pensavo potesse esistere in quel posto. Solo un giorno prima il vento ti lanciava per terra, ora non vi è un filo di vento. Aspettiamo che le nubi che avvolgono le pareti si diradino, ma non è cosi. La parete rimane completamente avvolta nelle nubi.
Dalle foto che abbiamo fatto l’anno prima sapevamo di una goulotte che dava accesso a un spalla nevosa e da li alla parete vera è propria. Ma non la vedevamo. Decidiamo di bivaccare vicino alla spigolo dei Ragni. Pensiamo a tutto il tempo che Paolo Vitali, Casimiro Ferrari e Carlo Aldè avevano speso in una truna sotto la parete aspettando il bello.
La mattina ci alziamo alle 4 e mentre facciamo colazione vediamo le nubi diradarsi. Il caffè mi va quasi di traverso. Siamo pronti, questo è il momento. Legati, alle 5 risaliamo un pendio di neve e facili roccette per raggiungere la goulotte. Decidiamo per la Goulotte incassata di destra. Pare molto ripida ma ci permette di arrivare più direttamente alla spalla nevosa. Parto io da primo, non aspettavo altro!
Nel labirinto della Parete Est
Mi sento in sintonia con l’ambiente, la scalata e la montagna. Muretti verticali di ghiaccio abbastanza buono si susseguono con passi di misto fino alle M5 e canali di neve di 70°. Al Bianco sarebbe una goulotte “Classica”. Appena i primi raggi iniziano a colpire la parte alta della parete veniamo colpiti da Spindrift e piccole valanghe di neve. Veniamo imbiancati ma niente di più. Scalata mista allo stato puro.
Dopo un tiro delicato su placche ghiacciate quasi improteggibili, mi trovo sotto un muro di ghiaccio di 15 metri ben verticale. Sale la tensione ma con calma riesco a fare un sosta prima di uscire sulla spalla di neve. Recupero i Matteo, e salgo gli ultimi 6 metri che separano dalla spalla di neve. Il ghiaccio è strapiombante e fatico ad uscire sul pendio.
Ci troviamo sulla spalla con un caldo inaspettato. Alle 13.00 Il sole inizia a sciogliere le frange a formazioni ghiaccio sulla parete. Svariati crolli, ci preoccupano non poco. Risaliamo la spalla e attacchiamo la parete nel mezzo. La linea sembra sicura da pericoli oggettivi. Matteo Della Bordella Prende il comando è sale due tiri di misto con passi delicati su roccia di pessima qualità.
Il terzo tiro è un goulotte a 80° ormai scaldata dal sole, Matteo tenta di aggirarla ma alla fine è obbligato a risalire il ghiaccio marcio. Arrivati in sosta, facciamo cambio ancora e il Berna parte per un traverso delicato e un bel tiro di ghiaccio con muretti a 85°. Una corda si incastra dietro uno spuntone e questo lo rallenta un attimo. Risolto il problema, continuiamo fino ad arrivare sotto il grande muro verticale che ci separa dalla cima.
La linea di destra che avevamo visto non esistente, ma Matteo DB vede una goulotte verticale solcata di ghiaccio strapiombante e alcune fessure. Mi pare una “locura” e dico che io da lì non so se riesco a salire. Invece vedo una linea ancora più a sinistra della parete. Il Berna con due lunghi traversi ci porta sotto la Goulotte verticale e decidiamo di bivaccare. Essendo ormai le 8 di sera lasciamo il problema alla mattina seguente.
Scaviamo una cengia nella neve e ci mettiamo nei nostri sacchi a pelo. La vista sotto di noi è incredibile. A 100 km di distanza si vedono il Cerro Torre e Il Fitz Roy, lo Hielo Continental è immenso e bellissimo al tramonto. Tutto attorno a noi solo natura selvaggia, senza compromessi. Noi seduti a tre quarti della parete est del Murallon.
Penso che sia una delle esperienze più incredibili delle mia vita. Mi addormento ma nella notte sento gli alti urlare, una scarica di ghiaccio e neve li ha colpiti, per fortuna senza danni, tranne che per il materassino del Berna che viene distrutto. Il mattino seguente, senza tanto indugiare parto di nuovo da primo per risolvere queste goulotte strapiombanti.
Salgo qualche passo in artificiale A1 un po’ delicato e poi con buoni agganci vado a prendere il ghiaccio, da qua una fessura di mano mi porta ancora qualche metro in alto verso altro ghiaccio buono che risalgo veloce. Il primo tiro è andato ora il secondo: un tiro di ghiaccio strapiombante con un partenza incassata. Scalo delicatamente proteggendomi dove posso, il ghiaccio è spesso solo 2-3 centimetri e delicatamente salgo. Nella seconda parte del tiro scalo il tratto strapiombante come se fosse un camino, proteggendomi in una fessura laterale. Yes! Salto fuori dal tratto strapiombante. Due tiri di grande soddisfazione. Matteo DB ci aveva visto bene, da li si passava.
Salgo altri due tiri di misto facile. Arrivo sotto all’ultimo tiro verticale prima della cornice e vedo che non è finita. In quel momento un apparizione incredibile. Sento un fruscio dietro alle orecchie e mi giro di scatto: un condor enorme mi stava volando attorno a pochi metri. Rimango bloccato, non ci credo. Da dove è arrivato? Il curioso condor ci vola attorno per un attimo e poi scompare. Sarà un buon presagio? Penso di sì.
Insisto per continuare sull’ultimo tiro. Nella prima parte salgo in dry fino all’M6+ facendo un traversino verso sinistra dove staffo su un chiodo messo a mano a prendere un aggancio. Con qualche passo in artificiale mi portano a prendere una fine lingua di ghiaccio.
Sul ghiaccio sento i primi fiocchi di neve sulla guancia. Il tempo si è ormai guastato e sta arrivando il brutto. Velocemente cerco di fare sosta prima della cornice. Questo tiro mi ha davvero ingaggiato: esposizione totale: precarietà delle protezioni e misto difficile. Quello che volevo ed ero lì per fare.
I Matteo risalgono con i prusik e io faccio gli ultimi metri. Arriviamo in cima alle 13 con grandissima felicità e soddisfazione, ma capisco subito che non sarà facile.
Matteo e Matteo mi raggiungono in cima e facciamo le foto di rito. Decidiamo di scendere da ovest sull’altopiano Italia e Matteo DB prende il comando convinto. Penso a Casimiro Ferrari, Aldè e Vitali che girovagarono un giorno cercando di scendere da lì. Matteo cerca di perdere quota e scendere sul altopiano, scendiamo qualche centinaio di metri e ci troviamo sopra la seraccata della parete sud.
Quando l’avventura non finisce in vetta…
Siamo in trappola, ormai dobbiamo scendere da li sul versante del Ghiacciaio Cono. La bufera ormai imperversa e nevica copiosamente. Il Berna attrezza le Abalakov sul seracco e con due doppie da 60 arriviamo alla base del seracco sommitale strapiombante che fa una grande impressione li sopra la testa.
Altre 10 doppie e siamo alla base della parete sud, ormai bagnati fradici. Cerchiamo di scendere il ghiacciaio superiore del Cono, ma sprofondiamo nella neve fino alle ginocchia e il ghiacciaio è pieno di buchi e crepacci. Un vero dedalo.
Da un seracco vediamo la linea di discesa. Qualche ora dopo siamo sul ghiacciaio del Cono, bagnati fradici, ormai sta per fare buio e non possiamo fermarci. Camminiamo sul ghiacciaio e incontriamo, in modo del tutto miracoloso, due enormi massi strapiombanti che “navigano” sul ghiacciaio. Ci mettiamo sotto e passiamo una notte riparati dal vento e dalla pioggia. Trascorro la notte tremando nel mio sacco a pelo ormai fradicio.
Per qualche strano motivo sono felice di essere lì, la salita ormai fatta e in questo ambiente naturale magnifico e selvaggio. Il giorno dopo il tempo non è male e riusciamo, dopo 12 ore, a tornare alla nostra tendina al campo avanzato.
Siamo distrutti ma felicissimi di aver raggiunto il nostro obiettivo. I giorni seguenti torniamo sotto il Murallon a recuperare un saccone e, il giorno 8 di febbraio, con gli zaini pesanti torniamo verso il rifugio Pascale. Cerchiamo di finire tutto il cibo avanzato e quella buonissima bottiglia di vino Toro. Torniamo a El Calafate il 10 febbraio per una buonissima cena e festa.
Ora a casa il viaggio mi è sembrato un bellissimo sogno, un’avventura d’altri tempi dove portare a casa la pelle è stato importante come arrivare in cima. Una storia d’amicizia e coraggio dove abbiamo dovuto dare tutto per raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati.
Sono orgoglioso di far parte di un Gruppo come I Ragni di Lecco che mi hanno dato questa possibilità e incoraggiato. Un grazie ai miei due compagni Matteo della Bordella e Matteo Bernasconi per averci creduto fino alla fine. Un grazie ai Ragni di Lecco per il supporto alla spedizione. A Viva Patagonia, Estancia Cristina e Alberto del Castillo per il supporto logistico. Alla mia Ragazza Caterina Tixi per avermi aiutato con i permessi e la grande motivazione, a GRIVEL per il materiale messo a disposizione. Ad Adidas Terrex e Adidas Eyewear per i vestiti e occhiali da sole.