Con un paio di giorni di riposo dopo la prima via io e Giga siamo di nuovo pronti a scalare.
L’obiettivo l’avevamo adocchiato già qualche giorno prima: l’estetico spigolo sudovest della stessa struttura, percorso da una linea discontinua di sottili fessure visibili solo con il binocolo, ci sono molti punti in cui non possiamo sapere se le fessure sono collegate, l’unico modo è andare a vedere.
Primo tentativo
Mentre siamo sotto la via a preparare il materiale troviamo un vecchio cordino: brutto segno.
Più in alto compare uno spit e poi una sosta. Con nostra grande delusione la via è già stata salita.
Prima tre tiri in placca a grossi funghi neri, poi la parete diventa verticale.
Il granito, aderente con grossi cristalli, è molto bello e mi ricorda la Valmasino (o forse è la pioggia a ricordarmela?).
Continuiamo lungo un diedro fessurato che poi diventa cieco.
Salendo notiamo sempre più spesso boccole di spit senza piastrina e bat-holes anche di fianco alle fessure. Ci troviamo nel paradosso di scalare una via a spit, ma senza spit.
Non stiamo più seguendo la linea logica della roccia ma quella dei fori.
Rimontiamo su una rampa sospesa che termina magicamente dove inizia una fessura a incastro.
Quando la fessura finisce secondo il nostro piano dovremmo traversare sotto un tetto e prendere un lungo sistema di diedri più a destra.
La via però continua a salire, ed io, forse abbagliato dai luccicanti spit vado dritto.
Rinvio una sosta e continuo, supero uno spit irraggiungibile e poi due inutili bat-holes.
Poi mi fermo, incerto su cosa fare, guardo su: la prossima protezione è qualche metro sopra, guardo giù: un tetto e poi una lama affilata, il volo da qui è un infortunio sicuro.
Mentre urlo a Giga che forse è meglio non proseguire non riesco a trattenermi dall’alzare i piedi più in alto. Ora è tardi per scendere, raggiungo un piccolo fungo nero e con i piedi sul liscio mi allungo verso una lama sottile.
Appena la sfioro si frantuma e di colpo mi sento tirato verso il basso, le dita con sorpresa rimangono a stringere il fungo. Rifiato, e il più delicatamente possibile prendo di nuovo la scaglia (ora più solida) e aggancio la protezione.
Muro liscio e spit spaccato: da qui non si passa; è ancora pomeriggio ma dobbiamo scendere, delusi e arrabbiati.
Bivacchiamo in una grotta alla base della parete. Al mattino, ancora sconcertati dall’aver visto una via rovinata da spit inutili, mentre sistemiamo il materiale ci motiviamo per ritentare la via in libera. Lasciamo li un saccone pieno di materiale e torniamo al campo per riposare un giorno.

Secondo tentativo
Quando ripartiamo il barometro è in picchiata ma non riusciamo ad aspettare, da giorni il tempo è instabile e non abbiamo modo di prevederlo.
Saliamo i primi tre tiri di sera e scendiamo a dormire nella grotta.
Alle sette di mattina siamo già sul quarto tiro, subito dopo unisco in un’unica lunghezza il quinto e sesto. Fa ancora freddo mentre saltiamo sopra la rampa sospesa, questa zona non ha più segreti e risparmiamo tempo prezioso.
Eccoci al filtro: non saliamo più alla sosta dove abbiamo ribattuto, ma seguiamo la linea studiata dal basso. Con un lungo giro evito di tirare la lastrona che incombe sul (preoccupato) socio.
Poi traverso in placca per collegare la riga di fessure studiata con il binocolo.
Funziona: dietro lo spigolo c’è un diedro che continua fino alla headwall.
Il sole ci scalda ma solo per pochi minuti, percorriamo il lungo diedro fino ad incrociare di nuovo la via. Continuiamo più velocemente possibile in una fessura più facile ma inizia a cadere qualche fiocco di neve, il tiro è corto, arriviamo in una fantastica nicchia sospesa.
Sono le 13, da sei ore scaliamo senza mai una pausa. Approfittiamo del riparo per togliere le scarpe e bere, intanto aspettiamo che passi il temporale per ripartire. Da qui capiamo la reale prospettiva della parete, mancano probabilmente due o tre tiri di diedro alla cresta, non sembra più difficile. Troviamo il libro di via ma è bagnato e incomprensibile.
Sembra fatta, dobbiamo solo aspettare che smetta di nevicare, decidiamo di aspettare un’ora e mezza e poi decidere cosa fare.
Ore 13:30 nevica.
Ore 14:00 fa freddo e saltelliamo sulla cengia per restare caldi.
Ore 14:30 ancora neve e si alza vento da nord: forse questo non è solo un temporale, non sembra accennare miglioramenti, la parete è sempre più bagnata. Anche se è ancora presto scendiamo, insieme ai nostri dubbi.
Quella sera è ritornato il sole.
Nel prossimo aggiornamento il racconto della famosa Perestroika crack