Chiuso il capitolo via dei Ragni al Fitz Roy la domanda è cosa fare nei successivi 3 giorni. Le Previsioni del tempo sono: mercoledì mattina bello, poi vento forte nel pomeriggio e nella notte su giovedì; giovedì bello e venerdì teoricamente ancora bel tempo. L’arrivo del brutto tempo è previsto per la giornata di sabato. Io dico la mia ai miei soci: dal momento che siamo scesi da una parete esposta a Sud Est per via del ghiaccio nelle fessure, secondo me la cosa migliore da fare è scalare una parete esposta a Nord e quindi più soleggiata, dove è più probabile che le fessure siano libere da ghiaccio e neve – ricordiamoci che nell’emisfero australe Sud e Nord sono “invertiti”.
Ne parliamo sul ghiacciaio sotto la via e ci basta guardarci intorno per renderci conto che dove la parete Est del Fitz Roy finisce, si innalza imponente il pilastro che Renato Casarotto dedicò alla moglie Goretta. Un missile che si impenna contro il cielo e che termina 350 metri sotto la cima principale del Fitz Roy. Impossibile non restarne colpiti la prima volta che lo si vede. Il pilastro Casarotto è appunto esposto a Nord e dalle foto che abbiamo visto offre un’arrampicata fantastica in fessura. Io e Silvan siamo concordi per provare questa opzione; Luchino all’inizio non è molto convinto, ma dopo qualche ora decide comunque di essere della partita.
Una breve premessa e qualche accenno storico alla grandissima impresa che Renato Casarotto compì nel 1979 è necessario e doveroso. Come molti già sanno, Renato Casarotto è stato uno dei più grandi alpinisti italiani di tutti i tempi e sebbene al grande pubblico il suo nome sia meno noto di quelli di Bonatti, Cassin o Messner, le sue salite, il suo stile e la sua filosofia di andare in montagna non hanno nulla da invidiare a questi grandi nomi.
Casarotto fu autore di numerose prime solitarie ed invernali sulle Alpi e non solo, imprese eccezionali, salite della durata di giorni e giorni, con un gusto e un fascino d’altri tempi, come quella sul Freney o sulle Grandes Jorasses in inverno, salite che ancora oggi a 30 anni di distanza, farebbero notizia nel panorama alpinistico mondiale.
Renato Casarotto tentò per la prima volta la salita del Fitz Roy dal pilastro Nord (che successivamente dedicò egli stesso alla moglie Goretta) nel 1978. Non essendo andato a buon fine questo primo tentativo decise di tornare l’anno seguente, con la moglie e altri due compagni, i quali tuttavia lo abbandonarono durante la spedizione. Casarotto proseguì quindi da solo, con l’aiuto di Goretta, e dopo aver attrezzato con corde fisse l’intero pilastro, raggiunse la vetta del Fitz Roy. La sua è la prima salita assoluta in solitaria di questa montagna ed ancora oggi è l’unica via aperta in solitaria sul Fitz Roy; sempre ancora oggi, nel 2015, si tratta ancora forse della salita più difficile in solitaria mai compiuta in Patagonia. Scusate se mi sono dilungato un po’, ma un riconoscimento a questo grande personaggio, purtroppo deceduto nel 1986 al K2, era assolutamente indispensabile.
Torniamo alla nostra salita.
Partiamo così mercoledì mattina per la prima parte della via: un canale di neve e misto che, se in condizioni, buone presenta difficoltà contenute su ghiaccio e neve, mentre nelle condizioni sbagliate può diventare un incubo di roccia marcia e colate di acqua. Verso mezzogiorno raggiungiamo il “blocco incastrato” e il tempo inizia a peggiorare; le raffiche di vento si fanno sempre più forti e il cielo si copre. Luca parte in perlustrazione sui tiri successivi, ma dopo un paio di lunghezze facciamo ritorno al blocco dove ci chiudiamo nei nostri sacchi a pelo, intanto che il vento continua a soffiare sempre più forte e un po’ di pioggerellina inizia a cadere.
La notte non è certo delle più confortevoli, soprattutto per Luca e Silvan, che, per risparmiare sul peso, condividono in due un sacco a pelo. Tuttavia giovedì mattina puntiamo la sveglia di buon ora e ci alziamo con un cielo stellato e senza vento. Con le prime luci dell’alba ci apprestiamo a ripartire: la cima del pilastro Goretta ci attende, 700 metri più in alto. Il pilastro è caratterizzato da una gran quantità di fessure e da un granito di qualità eccezionale. Siamo senza relazione tecnica della via e ci facciamo guidare dall’istinto. Parte Luca su una serie di fessure larghe nel centro del pilastro e dopo 150 metri proseguo io, sempre guidato dall’istinto e dalla bellezza dell’arrampicata.
A un certo punto mi rendo conto che certamente non stiamo seguendo la linea più logica e più facile del pilastro. Piuttosto stiamo seguendo quella ci sembra la linea più diretta e divertente da scalare! I tiri scorrono uno dietro l’altro. Lunghezze di 55, 60 metri per fessure e diedri perfetti, dove a fermarti è solo l’attrito e la lunghezza della corda; linee granitiche che sparano dirette verso il cielo, un’arrampicata incredibile, come a Yosemite, fatta di incastri di ogni genere.
Per evitare un insidioso tratto di fessura offwidth ci spostiamo a destra, proprio al centro del pilastro. L’arrampicata continua a essere della migliore qualità e sempre sostenuta con tiri su lame e traversi che obbligano a movimenti poco convenzionali. Cento metri prima della cima del pilastro Silvan passo al comando. Un lungo camino, che già avevamo intravisto dal basso obbliga Silvan a una scalata scomoda e faticosa; io e Luca lo raggiungiamo in cima al pilastro intorno alle 18.30.
Da qui ci godiamo la vista sulla parte finale del Fitz Roy e chiamiamo il nostro amico meteorologo Deza per avere aggiornamenti sulla situazione meteo. Le news non sono ottime: l’arrivo del brutto tempo è anticipato rispetto a quanto previsto originariamente, dal pomeriggio di venerdì dovrebbe alzarsi il vento e il tempo dovrebbe ulteriormente peggiorare nella nottata su sabato con vento molto forte e precipitazioni.
Dopo aver bivaccato ed averci pensato un po’ su decidiamo comunque di proseguire.
Riparto sulla prima lunghezza della parte finale prima che sorga il sole. La parola d’ordine è, come sempre, scalare a manetta, nonostante le mani ghiacciate e i numerosi strati di vestiti addosso. Contrariamente a quanto descritto nella guida le 4 lunghezze impegnative finali si rivelano molto più scorrevoli e facili del previsto. In breve ci ritroviamo a calzare gli scarponi su terreno misto più appoggiato con tratti di roccia e di neve. Verso le 10.30 tocchiamo la cima del Fitz Roy..
Solite foto e strette di mano, anche se siamo arrivati in cima in anticipo rispetto a quanto preventivato, non perdiamo troppo tempo, la strada da fare prima che la salita sia davvero finita è ancora lunga.
A metà pomeriggio, quando siamo già in discesa nel mezzo del pilastro Goretta, arriva il vento, che rinforza man mano che noi invece perdiamo quota. La discesa scorre lentamente ma senza particolari imprevisti, a parte un paio di corde incastrate (ma su 40 doppie direi che ci può stare). Con perfetto tempismo rimettiamo i piedi sul ghiacciaio verso le 19.30 quando ormai le raffiche di vento si fanno sempre più forti e la tempesta è alle porte.
Solo quando rientriamo a El Chalten, guardando sulla guida e parlando con Rolo Garibotti scopriamo che nessuno aveva mai seguito la nostra linea in centro al pilastro e ci rendiamo conto di aver aperto una nuova variante. Siamo stati guidati solo dall’istinto, dalla linea e dalla purezza della scalata e di queste 3 cose conservo un ricordo fantastico.
Il nome e i numeri di questa salita e di questa variante contano poco, ciò che conta per me è il ricordo di questa fantastica esperienza, il ricordo di una salita pulita e divertente, il ricordo di un’arrampicata eccezionale su una delle montagne più belle del mondo, il ricordo di un’esperienza condivisa con gli amici.
Su www.pataclimb.com nei prossimi giorni potrete trovare il tracciato della nostra variante “Amaro vecchia romana” e qualche info tecnica.
Per quest’anno salutiamo la Patagonia così.
Grazie ancora a tutti quelli che hanno creduto in noi e ci hanno supportato in particolare a tutto il gruppo Ragni, Adidas, Kong, Sport Specialist, al CAAI (Club Alpino Accademico Italiano)